Biografie

Philippe Starck

Philippe Starck

Nato a Parigi nel 1949, è considerato il numero uno dei designer europei.
Svolge anche l'attività di architetto progettando numerosi locali a Parigi, New York e a Tokyo.
Tra il 1971 e il 1972 è direttore artistico della Pierre Cardin.
Nel 1984, su committenza di François Mitterand, progetta gli arredi dell'Eliseo.
È vincitore di importanti premi quali il Grand Prix National de la Création Industrielle (1988) e l'Honor Award dell'American Institute of Architetcts nel 1992, per il Paramount Hotel di New York. È titolare di un'importante attività didattica.
Nel 2000 ridisegna l'intera collezione della Emeco, l'azienda americana considerata un American classic, che produce la leggendaria Navy chair, la sedia in alluminio rifinita a mano concepita per la Marina statunitense che si ritrova nei film di Hollywood, nei bar newyorkesi, nelle ville di Frank Gehry.


Veduta prospettica della Hall del Royalton Hotel - New York

Veduta prospettica della Hall del Royalton Hotel - New York


Su Starck, così si esprime Alessandro Mendini:"...La storia del design francese, come tutti sanno, non esiste. Oppure, se esiste, assomiglia a un triste palazzo con grigie finestre, da dove i progettisti francesi degli ultimi decenni hanno visto passare l'allegro "corteo del design", stando appunto alla finestra, senza prendervi parte. Sulla strada in festa, fra i protagonisti italiani, tedeschi, giapponesi e americani, di francesi non ce n'era nessuno. Ora nel corteo c'è anche Philippe Starck. A bordo di una Citroën… Il Nuovo Design, con Alchimia e Memphis, è stato colorato, decorato, romantico, eccedente, esasperato. Gli oggetti del Nuovo Design sono per definizione impraticabili, la rottura con il funzionalismo è stata ecologica, polemica e traumatica. Starck, invece, è uno dei responsabili del design Nuovo-Nuovo.
Data per scontata la vittoria compiuta dai gruppi radicali contro il design tradizionale, Starck non trova necessario politicizzare il suo lavoro. Egli progetta istintivamente sui dati e con i metodi del mondo tardo-industriale, per un uomo "post-di-massa" divenuto un "consumista-di-clan", raffinato utente di oggetti post high-tech, di strumenti miniaturizzati, di monocromi spazi rarefatti. Starck individua con precisione questa committenza "diversa" rispetto a quella tipica del Bel Design, e provoca uno scatto generazionale al sistema di oggetti da lui progettato. Propaganda divistica del suo ruolo, sovrapposizione fra il progetto e la sua immagine pubblicitaria, applicazione delle regole del marketing non solo ai propri oggetti ma al suo stesso personaggio; queste caratteristiche, tipiche del più aggiornato management, fanno di Starck un neo-post-professionista del design del tutto originale (e affascinante), sulla scena un po' vecchia del design, così come esso ci è tramandato dalle consuetudini..." (A.Mendini)


Vaso con supporto a parete, Royalton Hotel - New York

Vaso con supporto a parete, Royalton Hotel - New York


"... mio padre era un inventore, disegnava aerei e la sola eredità che mi ha lasciato non è stata una grande somma di danaro, come generalmente avviene con l'aviazione - per me è stato il contrario - ma mi ha lasciato l'idea che uno dei mestieri più belli che si possa fare è un mestiere creativo. Con la creazione si può effettuare una ricerca interiore e lavorare su sé stessi. E creando degli aerei, mi ha insegnato delle cose preziose: per far volare un aereo occorre crearlo, ma per non farlo cadere occorre essere rigorosi.

Questo è sempre stato il principio al quale mi sono attenuto: creatività e rigore…

Occorre capire che non si è mai, non si è mai un creatore unico. Non si è mai soli. Un creatore è soltanto il rappresentante di una tribù, ovvero ad un certo momento si fa qualcosa e lo si mostra ad un amico, e questo dice. ‘oh è proprio bello!'. questo a sua volta lo dice a un altro amico - ‘sai ho visto un tizio che fa un buon lavoro'. E poco a poco la tribù diventa concorde nel dire che sei tu il rappresentante di certe attività della tribù. È come un gruppo di amici che hanno lo stesso garagista, un gruppo di amici con lo stesso medico, un gruppo di amici che frequenta lo stesso club. È esattamente la stessa cosa: sei il rappresentante di una tribù che ti spinge ad andare avanti. Prima si è il rappresentante della piccola ‘tribù' di amici, poi della piccola tribù, dopo si diventa il rappresentante di Parigi, poi di un paese. A questo punto la persona straniera che opera scelte a livello globale può contattarti per creare opere in Giappone, in America. E diventi noto sulla scena internazionale, diventi il rappresentante per quella specifica attività nel mondo di quella tribù dalle dimensioni maggiori…

…Questo lavoro fatto per ragioni prettamente estetiche o culturali non ha senso. Le belle sedie si possono trovare dovunque, le belle lampade sono dovunque, i bei tavoli sono dovunque, ce ne sono già abbastanza. non può essere diversamente. Oggi tutto il lavoro estetico e culturale è divenuto inutile, l'urgenza di agire non è più là. Oggi l'urgenza è di tipo politico, occorre lavorare sulla ridefinizione della produzione, sulla ridefinizione del rapporto uomo e materia perché l'uomo possa ritrovare il proprio spazio senza essere attanagliato, asfissiato, ricoperto da un mucchio di cose futili, generalmente portatrici di simbolismi estremamente dubbi. Se guardate per strada, come laggiù, vedrete che tutte le macchine, tutte le automobili, tutto quello che ha un motore, gli scooter, le moto, da qualche tempo gli scooter un po' meno - e forse in parte grazie a me - portano solamente segni maschili, di machismo, è ridicolo. Perché una macchina deve avere i ‘coglioni'? non ha senso. Una macchina è un oggetto di servizio che dovrebbe essere intelligente. Ma è per questo, luomo 'non potendo essere più intelligente ci resta male. L'intelligenza è femminile, l'intelligenza moderna è femminile, e la macchina non è moderna, non sarà mai femminile. vedete quindi che è possibile lavorare continuamente sulle domande: ‘Questo oggetto deve essere maschile o femminile? questo oggetto merita d'esistere o esiste soltanto per dimostrare al proprio vicino che si è pieni di soldi? o per mostrare che si è più potenti?' Dietro e davanti gli oggetti acquistati ci sono molte brutte cose. Le case generalmente vengono costruite per dimostrare che nella vita si è raggiunto il successo, piuttosto che per vivere felici al loro interno. Ci sono miriadi di cose come queste da decifrare. E questo è un po' il mio lavoro. Lo faccio in vari modi con una strategia da formica, con una strategia un po' viziosa, che fa sì che non mi occupi mai delle persone alle quali parlo. Lo faccio passo dopo passo, step by step, di qua, di là, di su, di giù. E infine si può capire dove sto parando, perché quando parlo alla mia tribù, prima di tutto parlo anche a me stesso, parlo a me, a mia figlia, a mio figlio, a mia moglie, agli amici e a tutti quelli a cui voglio bene. Bisogna sempre cominciare da là. Chi dice che per persone come queste bisogna fare qualcosa non capisce. Quelle persone sono ignobili. Derubano le persone, disprezzano la gente e soprattutto sono molto stupide. Sono destinate a scomparire, perché quelli che non capiscono che noi siamo per definizione intelligenti e in continua evoluzione, in continuo progresso, quelli, quelli che disprezzano sono destinati a scomparire, e tanto meglio!…

…Io amo l'industria, amo la grande industria perché è il solo mezzo per produrre oggetti di alta competenza qualitativa, di una alta competenza semantica, quando si crea da bravi industriali e quando hanno prezzi accessibili. L'industria rende possibile la moltiplicazione della qualità, fare oggetti popolari, e questo mi affascina. Il mio lavoro si è sempre fondato sull'idea viziosa e presuntuosa, ancora una volta, di cercare di dare il meglio al maggior numero di persone, quando possibile. Quando si ha l'onore di potersi esprimere, quando si ha la fortuna di avere una buona idea, se non la si diffonde si commette un ladrocinio. Quindi amo l'industria ma a condizione che sia gestita da persone con sani principi morali, con esigenze ben precise che tengano conto dell'ecologia, dei costi, dei profitti, degli investimenti dei quali abbiamo parlato, di ridefinizione politica, sessuale, sociale e così via. Ma d'interessante c'è solo questo. L'artigianato può produrre soltanto piccoli fronzoli, piccole fantasie dei quali si ha ugualmente bisogno, ma che non corrispondono al mio modo di pensare né al mio modo di lavorare. Ora cerco di lavorare su oggetti a lunga durata di vita, di alta qualità a ogni livello. Oggetti come il vestito nero che le signore tengono nel loro guardaroba. E altre persone creano con grande talento gioielli che cambieranno ogni sei mesi o ogni tre mesi. Non corrisponde al mio modo di pensare, ognuno fa quel che può…

…Sono un architetto giapponese, uno scenografo americano, un designer industriale tedesco, un direttore artistico francese e sono un designer di mobili italiano. Perché sono un designer di mobili italiano? Perché soltanto in Italia esistono persone degne di questo nome. Quando parli a dei fabbricanti di mobili francesi - generalmente lo evito - hai davanti delle persone che fanno: ‘allora signor Starck, allora pare che i suoi disegni rendano quattrini. Non può disegnarmi qualche mobile, mi pare interessante' e a quel punto dico loro: ‘lo metterete a casa vostra?' ‘ah no, la mia vita è la mia vita e la mia industria è la mia industria'. Li saluto e arrivederci. Qui in Italia quando si presenta un progetto a Claudio Luti di Kartell, a Enrico Astori di Driade, a Piero Gandini di Flos, a Umberto Cassina di Cassina, è un vero piacere. Amano il progetto, l'amano con passione. Quando si porta un prototipo ad Alberto Alessi - l'ho visto poco fa - per lui è Natale, è un bel regalo. Ed è più di un semplice piacere. Con loro non c'è bisogno di spiegare, non c'è bisogno di parlare. L'industriale italiano ha seguito questo tipo di cultura. Una cosa deve avere una data forma in un dato momento; un oggetto deve essere fatto in un dato momento; alcune cose non sono da fare. È questo l'aspetto straordinario, è l'armonia. io ho la fortuna di avere una vita lussuosa, vivo in un incredibile lusso. Avendo lavorato bene, ho ottenuto un certo successo. non conosco molto bene gli effetti di questo successo, ad eccezione di uno: posso scegliere con chi lavorare e la scelta è molto importante perché mi permette di lavorare soltanto con le persone che mi piacciono e a cui piaccio. ammiro i miei editori e loro mi ammirano. Finiamo anche per sembrare idioti: ci abbracciamo tutta la giornata, è perfino ridicolo. Non parliamo mai di lavoro, bensì del profondo rapporto di amicizia che ci lega. Qui si fa successo perché il successo è fondato sull'intelligenza, la rapidità, la cultura, l'amicizia e la voglia di arrecare piacere. Non ho mai sentito un editore italiano - mi ripeto - dire: ‘questo frutterà un bel po' di quattrini.' ho sempre sentito dire: ‘questo piacerà molto.' ed è così che deve essere…

…I miei hotel sono come il palcoscenico di un teatro. C'è sempre una grande scalinata, così le persone che scendono possono guardare ed essere viste. È per questo i palcoscenici sono molto lunghi. Per essere belli occorre essere consci del proprio valore, occorre essere per un momento sotto i riflettori. Bisogna fare uscire le persone dal loro anonimato. Occorre dire: ‘no non sei un numero, esisti, sei bello, hai una personalità e mostrati al mondo.' Creo ambienti differenti non basati sul gusto di sapere se il giallo, il nero e il grigio vanno bene assieme. Me ne infischio. Non ne ho la minima idea. Quello che mi interessa è che la gente possa fare delle scoperte, che le persone vivano momenti forti, che possano ricordarsene e che gli orizzonti delle loro menti possano espandersi. è, ancora una volta, un favore fra amici…

…È vero che me ne infischio del prodotto finale. per me sono soltanto dei pretesti. presto molta attenzione, il più possibile, sono un maniaco. Lavoro 15 anni, a volte vent'anni su un'idea. I miei colleghi si arrabbiano molto quando dico che ci impiego tre minuti. Ma è vero, impiego tre minuti per dare forma a un'idea, ma dopo vent'anni di lunghe riflessioni. Ed è per questo che una volta che ho terminato per me è fatta. Non m'interessa più. Sono sempre deluso di quel che creo. Non mi piace quel che creo. Lo trovo debole, sciatto, senza il minimo rigore, inesatto. Sono decisamente geloso delle creazioni degli altri designer - Achille Castiglioni, Meda, Mendini, Michele De Lucchi - logicamente ce ne sono tanti altri. Trovo che i loro lavori siano migliori dei miei, e per di più è vero. Ma il mio problema non è questo. Il mio problema è che parlo come posso, di quello che posso e voglio, e alle persone alle quali voglio parlare, e il tutto prende la forma che può. È molto interessante, mi pento sempre di quel che faccio. È questo che mi spinge a fare altre cose. Se fossi stato soddisfatto delle mie creazioni e delle innumerevoli cose che faccio, avrei smesso da un bel pezzo..."