Angelo Savelli
Angelo Savelli nasce a Pizzo Calabro (Catanzaro) nel 1911. Dopo gli studi liceali a Vibo Valentia, nel 1930 si trasferisce a Roma; qui frequenta il Liceo Artistico, dove apprende l'arte dell'affresco sotto la guida di Ferruccio Ferrazzi, e l'Accademia di Belle Arti, e, dopo essersi diplomato, inizia la sua attività di docente presso il Liceo Artistico. Roma rappresenta quindi per Savelli la città fondamentale per la sua formazione, che si arricchisce profondamente dagli incontri con numerosi protagonisti di una delle stagioni più stimolanti del confronto artistico nella capitale, da Fazzini a Gentilini, da Mafai a Guttuso, da Scarpitta a Turcato, da Dorazio a Tamburi, da Afro a Capogrossi, da Consagra a Burri, da Severini a Perilli, con i quali il giovane calabrese manterrà rapporti di amicizia per tutta la vita.
Angelo Savelli
Sera d'autunno, 1947
Ed è a Roma, dove (a parte la traumatica esperienza della guerra e i soggiorni
a Venezia nel 1947 e l'anno dopo a Parigi) risiede dal 1930 al 1954, che
incomincia ad esprimersi il suo talento artistico e a cogliere i primi
successi; la sua prima mostra personale si inaugura alla Galleria di Roma nel
1941, cui fanno seguito le personali alla Galleria del Ritrovo e alla Galleria
San Marco, sempre nella capitale, dove partecipa alla VI Quadriennale; con Severini,
Prampolini, Fazzini, Jarema e Virgilio Guzzi fonda, nel 1944, l'Art Club e
partecipa alle mostre al Cairo, Alessandria d'Egitto e Buones Aires.
Seguono numerose esposizioni: nel 1950 partecipa alla XXV Biennale di Venezia e
vince il primo premio “Città di Reggio Calabria”.
Prima di trasferirsi negli Stati Uniti, nel 1954, Savelli, che è stato uno dei
principali innovatori della pittura italiana dell'immediato dopoguerra, tiene
una personale alla Galleria Il Naviglio di Milano, in occasione della quale
l'artista così autopresentava il suo lavoro: “Astratto, realista, figurativo,
spaziale - niente di tutto questo. Fuori dalle gerarchie stabilite dal catasto
della critica”.
Parole di cui, come scrive Fabrizio D'Amico nella sua testimonianza sul
catalogo della mostra di Assisi - Angelo Savelli e Roma. Opere dal 1939 al
1981, Assisi, dal 20 ottobre al 22 dicembre 2006 - si misura ancora oggi
“la quasi profetica verità, e l'indipendenza da anni che volevano aggregazioni
ed appartenenze, allora che non era scaduto il tempo della polemica cruenta tra
fazioni; e, per quanto s'iniziasse da parte di qualcuno a sospettarla stantia,
infuriava ancora la battaglia ideologica, arbitrariamente trasposta di peso nel
dibattito artistico”.
Al suo arrivo a New York, Savelli conosce lo scultore Philip Pavia, animatore
Dell'Art Club della decima Strada, di cui sarà assiduo frequentatore; nel 1956
produce una serigrafia monocromatica “bianco su bianco”. Nei primi anni
Sessanta, tra la scelta del bianco e l'avvicinarsi a forme minimaliste,
raggiunge la maturità della sua visione artistica; la ricerca sul bianco
applicata oltre alla pittura anche alla grafica e alle architetture-ambiente lo
accompagnerà tutta la vita, portandolo ad esplorare lo spazio e la geometria
fino al microcosmo del “punto figura” ed oltre, verso la dissolvenza della
materia in energia pensiero. Viene invitato dall'Università della Pennsylvania
ad impostare il corso di laurea in arte e qui insegnerà, con Piero Dorazio, per
oltre un decennio. Nel 1964 espone alla Biennale veneziana, in una sala
personale, una serie di opere “bianco su bianco” e il volume Ten American Poets
che gli valgono il Gran Premio per la Grafica.
Nel 1980 all'artista viene assegnato il premio Guggenheim che gli permetterà di
soggiornare in Italia ed organizzare una serie di mostre a Milano, Roma e Zurigo;
l'anno successivo, a cura di Giuseppe Appella, per le edizioni di Vanni Scheiwiller
esce il libro Angelo Savelli - Opera Grafica 1935-1981.
Nel 1984 il Padiglione d'Arte Contemporanea di Milano gli dedica la prima
grande mostra antologica in cui figurano opere e installazioni del periodo
“bianco”. Dopo il suo rientro in Italia, nel 1995, la Biennale di Venezia e il
Museo Pecci di Prato gli dedicano, in quello stesso anno, due mostre
antologiche, che l'artista non vedrà perché muore a Dello (Brescia), qualche settimana prima della loro inaugurazione.
Come suggerisce il curatore della mostra di Assisi, Luigi Sansone, “il luogo di
Assisi e la spiritualità che lo pervade hanno per Savelli un profondo
significato, infatti tra le sue opere giovanili eseguite a Roma negli anni
Trenta risalta una ieratica incisione figurativa dedicata al santo di Assisi. A
distanza di cinquant'anni, in terra d'America, in ormai avanzata età,
ritroviamo questa ispirazione francescana rinnovata nel suo personalissimo
stile astratto dominato dal bianco: Frate Francesco, eseguita nel 1983-84 è la
summa del pensiero mistico-metafisico di Savelli, una grande opera che, librata
dal limite e dal peso del telaio e applicata direttamente sul muro, trasmette
l'estasi di una levitazione mistica propria dei grandi santi”.