Biografie

Ennio Iacobucci

(San Vincenzo Valle Roveto, 1940 - Roma, 1977)

Saigon è in fiamme. Sconvolta da una battaglia senza vinti né vincitori. L'esercito sudvietnamita attacca regolarmente all'alba, costringendo i Vietcong a ripiegare verso la periferia di Cholon, il vecchio quartiere cinese della città. Di notte i guerriglieri comunisti rientrano nella capitale e occupano le posizioni perdute qualche ora prima. Nelle rare pause degli scontri gli americani bombardano il quartiere con aerei ed elicotteri aggiungendo rovine alla già sconvolgente devastazione. Cumuli di macerie ingombrano strade e vicoli, cadaveri lasciati a marcire sotto il sole tengono lontani i curiosi. Il cielo è saturo di dense nuvole di fumo mentre Cholon continua a bruciare. L'odore della morte avvolge ogni cosa.
All'una del pomeriggio, durante una pausa dei bombardamenti e nonostante il coprifuoco che dura ventiquattro ore su ventiquattro, l'arrugginita Due Cavalli verde dell'agenzia di notizie France Press imbocca la Nhu Ba Thanh, la strada principale di Cholon. L'automobile è tappezzata di cartelli con su scritto Bao Chi, stampa. I tre occupanti sanno bene che non servirà a tenerli lontani dalle pallottole o dalle bombe. Ma devono andare avanti e testimoniare gli eventi legati alla grande offensiva del Tet, il Capodanno buddista del 1968, uno dei momenti più delicati della guerra del Vietnam. In un silenzio innaturale, dove tutto sembra immobile, i tre occupanti sanno di essere osservati dai vietcong, spiati in ogni movimento, seguiti nel loro itinerario di morte. L'uomo alla guida dell'auto è percorso da brividi di paura, ma insiste per non fermarsi. La donna che siede al suo fianco è una statua, cerca di riconoscere il posto dove, solo alcuni giorni prima, alcuni corrispondenti europei sono stati uccisi. Il terzo componente del gruppo è un giovane aspirante fotoreporter arrivato a Saigon solo da qualche giorno. Corre dietro a quel colpo di fortuna che, si dice nell'ambiente, sfiora l'uomo una sola volta nella vita e per questo bisogna essere lesti ad afferrare. Vivere l'avventura, però non è facile. Il fumo che si vede da lontano, l'idea che da un momento all'altro da una finestra un cecchino possa prenderli di mira lo fa stare male, suda e piagnucola. È in preda al panico, maledice se stesso e supplica disperato i suoi compagni di viaggio di riportarlo a casa. Alla fine, anche se a malincuore, lo accontentano.
E' questo il battesimo del fuoco per Ennio Iacobucci, il fotografo italiano che per anni, durante la guerra del Vietnam, ha riempito le pagine dei giornali con la sue fotografie e le testimonianze dirette del conflitto nel sud est asiatico. E' anche l'episodio di cui in seguito si vergognerà, soprattutto per aver vissuto l'esperienza insieme a due giornalisti che la guerra la conoscevano ormai bene, Oriana Fallaci, allora inviata del settimanale «L'Europeo» e Derek Wilson, corrispondente della France Press. A loro il giovane reporter domanda spesso, con insistenza, se a causa del plateale cedimento gli altri inviati lo considerino un vigliacco. Ma i due giornalisti sanno bene che quella di Iacobucci è stata una debolezza del tutto momentanea, poi si abituerà a tutto, agli spari, alle bombe, alla morte; si può convivere senza traumi apparenti con il pericolo e il panico, con la guerra e gli orrori. E Iacobucci si adatta, impara in fretta diventando uno dei fotografi più apprezzati sia in Europa che negli Usa.

All'osservatore contemporaneo le foto di Iacobucci sembrano familiari, come un deja vù si potrebbe dire. E' così, infatti, sono le immagini che hanno ispirato registi e direttori della fotografia nei tanti film dedicati alla guerra del Vietnam. Ma tante, tantissime altre foto ancora non riusciremo ad attribuire al fotografo abruzzese: sono quelle che Iacobucci ha regalato o venduto ad altri fotografi, ai tanti che giunti a Saigon per un reportage ad alto rischio non se la sentivano di seguire i soldati americani o sud vietnamiti nelle operazioni di guerra. Meglio, pensavano, starsene al sicuro nel bar dell'hotel Continental. Tanto, le foto, fuori, in mezzo ai campi di riso, attraverso i fiumi, inerpicandosi, su colline e montagne, facendosi strada attraverso la folta vegetazione della giungla, nel fango, nella polvere, sotto il sole cocente o sotto la pioggia del monsone qualcuno le avrebbe fatte. Iacobucci, ad esempio. Un fotografo che proprio nella guerra, paradossalmente, trova la sua pace. In un paese in cui tutti sembrano pazzi, lui si sente perfettamente a suo agio, si sente normale. A Saigon non è più il contadino della provincia aquilana, l'ex lustrascarpe della grande città, è un personaggio mitico, un eroe dei nostri giorni. Il Vietnam è la sua vera casa e rientrato in Italia a guerra finita stenta a reinserirsi e si lascia andare. La pace, quella vera, è la sua vera nemica. Per otto anni, dal 1968 al 1975 ha seguito la guerra in Vietnam, Laos e Cambogia. Le sue fotografie sono state pubblicate dalle maggiori riviste del mondo, da Time e Newsweek, fino a Famiglia Cristiana.
Nel 1975 il New York Times lo ha candidato al Pulitzer. Iacobucci, infatti, è stato l'unico fotografo occidentale a riprendere i Khmer rossi che conquistavano Phnompenh, la capitale della Cambogia. Quelle foto occupano alcune pagine dell'enciclopedia della guerra del Vietnam edita negli Usa dalla Boston Publishing. Eppure Iacobucci in Italia è un perfetto sconosciuto.
La sua vita è stata breve ma straordinaria: nato a San Vincenzo Valle Roveto da una famiglia poverissima, si trasferì a Roma giovanissimo per fare il lustrascarpe. Durante le Olimpiadi del 1960 conobbe Derek Wilson, un giornalista inglese di cui divenne amico che gli fece studiare le lingue e che lo improvvisò fotografo in Israele durante la guerra dei Sei Giorni. Poi il Vietnam, dove Iacobucci rimase per anni seguendo tutte le evoluzioni della guerra, dal 1968 al 1975, comprese le invasioni del Laos e della Cambogia fino alla caduta definitiva del sud est asiatico.
Stremato da una vita vissuta sopra le righe Iacobucci morì a Roma nel 1977, solo, povero, deluso. Alcuni episodi meritano di essere ricordati: si paracadutava con le forze speciali Usa sul sentiero di Ho Chi Min che andavano a caccia di vietcong; ha annunciato la caduta della città di Quang Tri nelle mani dei sud vietnamiti provocando la reazione furibonda degli americani che lo costrinsero a fuggire nella giungla con una motocicletta; ha fotografato l'ambasciatore americano a Phnomphen che lascia il paese con la bandiera a stelle e strisce ripiegata sotto il braccio; da solo, nella capitale cambogiana, fotografa i Khmer rossi che conquistano la città.

Vittorio Morelli
Curatore della mostra

Vietnam Fotografie di guerra di Ennio Iacobucci 1968 - 1975
Roma - Museo di Roma in Trastevere
Piazza S. Egidio, 1/b - Roma
Dal 25 giugno al 14 settembre 2008