Architettura

Ricordando Franco Albini. Conversazione con Marco Albini

di Ivana Riggi

Rinnovo del centro urbano dell'area di Kasr-El-Hokm, Riyad, Arabia Saudita. Committente: Comune di Riyad. Località: Riyad (Arabia Saudita) - © Studio Albini Associati

La cultura è un bagaglio di conoscenze che si trasmettono di generazione in generazione; se consideriamo, poi, questa nozione nel senso umanistico del termine come “coltivazione” dell'animo umano ecco che la sua valenza diviene quantitativa e quindi variabile da soggetto a soggetto. Franco Albini era sicuramente persona colta anche in quest'ultima accezione del termine. Estraneo all'autocelebrazione era un uomo fattivo e progettista polivalente straordinario. Nacque, nel 1905 a Robbiate; si laureò in architettura al Politecnico di Milano nel 1929.

Prospetto. Rinnovo del centro urbano dell'area di Kasr-El-Hokm, Riyad, Arabia Saudita. Committente: Comune di Riyad. Località: Riyad (Arabia Saudita) - © Studio Albini Associati

Avviò la sua attività nel 1931 aprendo uno studio insieme a Giancarlo Palanti e Renato Camus. Con questi realizzò i quartieri IFACP: ”Fabio Filzi”, ”Gabriele D'Annunzio”e “Ettore Ponti” a Milano. Nel 1932 conobbe Edoardo Persico il personaggio più rappresentativo del Razionalismo italiano che sicuramente rafforzò le scelte tipologiche e tematiche del suo fare. Alla fine degli anni'30 lavorò con Ignazio Gardella, Giuseppe Pagano, Giovanni Romano ed altri progettisti ad alcuni prestigiosi concorsi per l'EUR e al piano urbanistico Milano Verde.
 Poi la guerra.

Chiostro. Ristrutturazione del complesso di Sant'Agostino a Museo Archeologico e Lapideo e restauro e trasformazione della Chiesa di Sant'Agostino in Auditorium. Committente: Comune di Genova. Località: Genova - © Studio Albini Associati

La rampa al primo piano. Ristrutturazione del complesso di Sant'Agostino a Museo Archeologico e Lapideo e restauro e trasformazione della Chiesa di Sant'Agostino in Auditorium. Committente: Comune di Genova. Località: Genova - © Studio Albini Associati

Prospetto Ristrutturazione del complesso di Sant'Agostino a Museo Archeologico e Lapideo e restauro e trasformazione della Chiesa di Sant'Agostino in Auditorium. Committente: Comune di Genova. Località: Genova - © Studio Albini Associati

Nuovo Settore Agip Sicilia. Committente: ENI - AGIP. Località: Gela, Caltanisetta - © Studio Albini Associati


Nuovo Settore Agip Sicilia. Committente: ENI - AGIP. Località: Gela, Caltanisetta - © Studio Albini Associati

Nuovo Settore Agip Sicilia. Committente: ENI - AGIP. Località: Gela, Caltanisetta - © Studio Albini Associati

Restauro Reggia Albertina e recupero funzionale: albergo, ristorante, Accademia Europea del Gusto, enoteca, sala conferenze, banca del vino. Committente: Agenzia di Pollenzo. Località: Pollenzo - Bra, Cuneo - © Studio Albini Associati

Restauro Reggia Albertina e recupero funzionale: albergo, ristorante, Accademia Europea del Gusto, enoteca, sala conferenze, banca del vino. Committente: Agenzia di Pollenzo. Località: Pollenzo - Bra, Cuneo - © Studio Albini Associati


Restauro Reggia Albertina e recupero funzionale: albergo, ristorante, Accademia Europea del Gusto, enoteca, sala conferenze, banca del vino. Committente: Agenzia di Pollenzo. Località: Pollenzo - Bra, Cuneo - © Studio Albini Associati

Vista cortile Restauro e ristrutturazione a Sede della Consob di Palazzo Carmagnola. Committente: Consob. Località: Milano - © Studio Albini Associati

Piano primo interrato-lucernario vetrato. Restauro e ristrutturazione a Sede della Consob di Palazzo Carmagnola. Committente: Consob. Località: Milano - © Studio Albini Associati

Scala in ferro ellittica. Restauro e ristrutturazione a Sede della Consob di Palazzo Carmagnola. Committente: Consob. Località: Milano - © Studio Albini Associati

Finito il conflitto, seguirono gli anni della ricostruzione e del boom. Nel 1945 Albini fu tra i fondatori del Movimento Studi Architettura, in questo importante periodo di rinascita culturale diresse insieme a Palanti la rivista “Costruzioni Casabella”. Nel 1956 diventò socio dello studio Franca Helg con cui condivise molteplici progetti. Ai primi anni '50 risale la sistemazione delle Gallerie comunali di Palazzo Bianco a Genova: una progettazione museale innovativa che concepì la mobilità delle opere all'interno degli ambienti. Fu uno dei primi musei  realizzati all' interno di una struttura storica preesistente studiato secondo i principi del Movimento Moderno. Questo straordinario intervento riconobbe Albini come un maestro della museografia avviandolo ad una felice stagione in questo settore (Museo del Tesoro di San Lorenzo -1952, 1956 - Restauro e sistemazione Museo di Palazzo Rosso - 1952, 1962). Negli anni'60 entrarono a far parte dello studio altre due presenze importanti che, insieme a Franca Helg, portarono avanti i progetti di Albini anche dopo la sua morte: Marco Albini (il figlio) ed Antonio Piva.
Tra gli incarichi più autorevoli si evidenziano: il Rifugio Pirovano a Cervinia (1948, 1952 - 1955, 1960), la Villa Olivetti a Ivrea (1955, 1958), gli uffici dell'Ina a Parma (1950, 1954), la Rinascente di Roma (1957, 1961), le Stazioni della linea 1 della Metropolitana milanese (1962, 1965 - 1964, 1969)… Albini fu un progettista completo, capace di occuparsi di diverse scale d'intervento dal design, all'architettura, all'urbanistica.
Fu un designer innovativo: sua la libreria in tensostruttura (1938), la poltrona Fiorenza per la Arflex (1952), la poltroncina Luisa (1954) caratterizzata dall'incastro “a doppio pettine”, che nacque insieme ad altri progetti dalla lunga collaborazione ( 1950- 1968) con la ditta Poggi.
Da ricordare l'attività didattica: negli anni 1949-54 e 1955-64 all'Istituto Universitario di Architettura di Venezia, nel 1954-55 al Politecnico di Torino, dal 1964 al Politecnico di Milano.
Albini fu, inoltre, membro dei  CIAM, dell' INU, dell' Accademia di San Luca, dell' America Institute of Architects, dell'Istituto scientifico dei CNR per la sezione di museografia.
Tra i numerosi premi vinti i più importanti : tre Compasso d'oro nel 1955, 1958 e 1964; il Premio Olivetti per l'Architettura nel 1957; il Premio Royal Designer for Industry della Royal Society di Londra del 1971.

Converseremo con il figlio Marco per ricordare l'immagine di questo grande progettista che architetti del calibro di Renzo Piano, formatosi al suo studio, definiscono Maestro.


Architetto, in una interessante conversazione con Luigi Mascheroni lei ha riportato delle espressioni di suo padre che mi hanno toccato: (…)”Io non ho desideri di possesso” (…) “Il mondo non lo devi limitare con la proprietà, altrimenti non lo vedi più” (…) Chi era Franco Albini?
Franco Albini aveva una sua rigidità morale che non era “moralismo”, anzi era molto aperto, ma era più un “rigore” che trasferiva poi alle cose che faceva. Era una rigidità morale verso se stesso che gli proveniva da una storia di vita passata di una famiglia borghese milanese vissuta in Brianza, che ha avuto improvvisamente dei tracolli finanziari. Un nucleo familiare che intorno al 1929 è passato da una situazione di agiatezza ad un problema di sopravvivenza. Mio padre ha dovuto far fronte a questa difficoltà essendo l'unico uomo in famiglia perché il papà era morto già da tempo. Ciò gli ha cambiato l' atteggiamento verso la vita con una scelta minimalista: ciò riguardava anche l'architettura ma gli proveniva dall'interno. Si doveva essere parchi, occorreva non avere bisogni, specialmente quelli del consumo; evidentemente ciò dipendeva anche da un'ideologia  che prediligeva le classi più povere e metteva qualunque professione, da quella dell'architetto a quella del medico, al servizio della gente; un servizio sociale che si rivolgeva, appunto, a chi aveva più bisogno.
In architettura, quindi, i temi erano quelli delle case popolari, degli alloggi a basso costo, della riduzione delle superfici al minimo, del rispetto del modo di abitare. Da un lato era una scelta ideologica di vita in cui rientrava anche la partecipazione di gruppi di tendenza intellettuali, dall'altro si rispecchiava in scelte professionali.


Quindi era un percorso parallelo?
Parallelo era il clima culturale dell'epoca: una sinergia di diverse personalità, arti, mestieri. I pittori, gli scultori, gli architetti lavoravano tutti in una certa tendenza che poi si rispecchiava, dagli anni trenta in  poi, in una opposizione agli architetti del passato: all'Ottocento ad esempio, al Barocco, a un modo di vita celebrativo, molto sovraccarico. La nuova architettura doveva essere semplice, ridotta, minimale, doveva “sottrarre” per opporsi a quella di prima. In un certo senso “Non ho desideri di possesso” rientrava in una logica, appunto, in cui non bisognava averne! Mio padre aveva anche un rapporto con il denaro molto disinvolto. Mia madre, che proveniva a sua volta da una ricca famiglia di possidenti piacentina che aveva subito anch'essa il tracollo della guerra pure se qualcosa era rimasto, mi raccontava che si doveva mantenere la famiglia con i cibi che si prendevano dalla campagna andando da Milano a Piacenza in bicicletta perché non c'era benzina. Si prendevano le uova, i polli e così via. Papà non chiedeva le parcelle, non aveva corrispondenza tra il lavoro fatto e la remunerazione, lavorava perché gli piaceva. Le racconto, ad esempio, che durante la guerra aveva aperto un piccolo studio, con Enea Manfredini (architetto di Reggio Emilia), a Piacenza perché  abitava nella campagna di mia mamma che era piacentina. Era uno studiolo in via  Scalabrini, dove adesso c'è la Facoltà di Architettura, non avevano commesse perché non c'era lavoro però loro si trovavano lì tutte le mattine e lavoravano. Disegnavano mobili, probabilmente sperimentali, di cui oggi abbiamo qualche disegno, alcuni prototipi, fatti con dei fili sospesi: degli armadi le cui ante stavano su con dei tiranti, dei tavolini che avevano le gambe tirantate che poi hanno dato origine a quel tavolo a cavalletto che vede lì. Era un'attività che volevano fare per loro stessi, che in un certo senso si imponevano… Tutto ciò per esplicarle ancora più chiaramente quello che era il rapporto di Franco Albini con il denaro.


Per suo padre quando l'architettura diventava arte?
Ah in questo senso non voleva sentir parlare di arte!


Sì, infatti la mia è una domanda provocatoria…
L'arte non era un presupposto del fare architettura, non voleva essere chiamato artista ma piuttosto artigiano; ha sempre lavorato con la materia, con i falegnami, i fabbri, tirando fuori da loro delle esperienze che poi trasformava in oggetti. Che poi queste siano diventate delle opere d'arte non saprei dire però, certamente, il “fare un'opera d'arte” non doveva, non poteva essere l'obbiettivo di un problema architettonico. Il metodo era invece importante: bisognava lavorare al meglio, costantemente passo dopo passo.


In che modo utilizzava la tecnologia, mi spiego meglio: come percorse la “via del moderno”?
Allora non esisteva questo termine “tecnologia” che assumesse un significato anche di riferimento  culturale perché quella di quel periodo era la tecnica tradizionale che si era trasferita nel tempo sino ad allora ed era appunto l'artigianato. È chiaro che c'erano le macchine e quindi l'industria aveva fatto dei passi avanti per quanto riguarda i mobili per esempio. Per quanto concerne l'architettura l'utilizzo delle tecniche consisteva nel ricercare dei modi costruttivi nella storia, nella tradizione. Se mai li si poteva modernizzare, trasformarli nei termini moderni, che voleva dire semplificarli, diminuirli nei costi, ridurli nell'uso del materiale usandone meno possibile, significava  trovare delle intenzioni per razionalizzare, ottimizzare i risultati. In questo senso la tecnologia veniva portata avanti secondo la logica, o il metodo, dei piccoli passi: un avanzamento progressivo del lavoro quotidiano.


Perché “funzionava” la coppia Albini - Helg?
Franca Helg è arrivata in studio nel 1956.
Era una grande organizzatrice anche nel coordinare gli altri, funzionava pure da barriera protettrice: teneva lontano papà dai problemi di tipo pratico permettendogli di fare ciò che gli piaceva come stare al tavolo a progettare. Ricordo che in studio si arrivava la mattina e si andava via la sera; non ci si muoveva quasi mai, si stava lì a disegnare. Si usavano dei camici bianchi con i polsini stretti per non sporcare le camicie e nel taschino si tenevano le matite: sembravamo dei medici!
È assolutamente il contrario di ciò che accade oggi: in studio non ci si sta più quasi mai, si sta sempre fuori per appuntamenti, per cantieri... A quel tempo era come una bottega, per questo il fattore protettivo di Helg funzionava. Ha portato anche un affinamento di alcune pratiche progettuali: ad esempio il modo di comporre le dei disegni.
Come fosse nata questa coppia, io non lo so; le voci dicono che ci fosse un rapporto sentimentale, se c'era meglio ancora, io lo escludo completamente e per quello che so non c'era. Anche mia madre non mi ha mai dato segnoerano delle sintonie su altro!


Ci fu un progetto che fu per loro particolarmente impegnativo?
Io ho seguito i progetti dal 1968 in poi. Uno dei lavori più impegnativi, perché ha comportato tanti anni, fu sicuramente il restauro e sistemazione a museo dei chiostri di Sant'Agostino a Genova. Progetto iniziato prima del 1970 come preliminare, poi abbandonato per mancanza di fondi per anni e continuato a metà degli anni '70, lasciato nuovamente perché non andava avanti niente, poi ripreso da noi come studio successivamente alla morte di mio padre dopo il 1978 e completato nel 1986. Venti anni e più di progettazione! È un progetto abbastanza significativo perché oggi le Sovrintendenze non ti concederebbero più la ricostruzione di un chiostro medievale, se pur distrutto, con delle putrelle di ferro alte due metri che correvano da una parte all'altra. Le attuali Sovrintendenze, a parte quelle molto illuminate, inorridirebbero di fronte ad una cosa del genere. Di questo sono quasi sicuro! Viceversa io credo che si sia riusciti nell'intento di mantenere l'atmosfera del chiostro medioevale pur utilizzando materiali completamente diversi.
Un altro progetto molto sofferto fu quello del restauro e sistemazione a Museo Civico del complesso degli Eremitani a Padova. Il museo è stato completato nei due chiostri abbastanza rapidamente. Il progetto dell'avancorpo che consisteva, sulla spinta anche di alcuni critici dell'arte e dell'architettura, nella ricostruzione di un piccolo edificio di fianco alla facciata della chiesa ebbe, invece, seri problemi. Vennero fatti 14 progetti diversi: cambiati, approvati, non approvati, finche si arrivò a costruire una gabbia metallica per simularne il volume. Ciò fu un disastro perché questa struttura venne scambiata dalla gente per quella vera. Si scatenò una polemica enorme. Il progetto fu cancellato; fu una grande sofferenza perché tutto il museo avrebbe funzionato entrando da lì: non essendoci un avancorpo tutto diventò una cortina senza una hall, un bookshop… ricavando le cose a pezzettini.


Nel 1968 lei entrò a far parte dello studio, com'era il confronto con un padre come il suo?
Sono entrato come disegnatore fino al 1972,1974; nel 1970 o 1969, non ricordo bene, è entrato in studio per un anno anche Renzo Piano il quale afferma di aver disegnato ciottoli, uno per uno… È un po' provocatorio per significare che partire da cose molto piccole per poi andare avanti è un insegnamento. Il lavoro si svolgeva disegnando a mano, a china e facendo asciugare la riga; ricordo che c'era un disegnatore che fumava e passava la sigaretta sopra la riga per farla asciugare: sono tutte tecniche che i giovani non conoscono… Bisognava pensare alla tavola, a come comporla, a cosa metterci dentro, era una progettazione in se stessa perchè il disegno doveva essere tutta pieno. La pianta doveva essere accanto alla sezione, vicina al prospetto, doveva essere composta e stavi attento perché se sbagliavi dovevi rifare tutto da capo… Non è come adesso che con un click sistemi tutto…


Che rapporto aveva Franco Albini con il mondo accademico?
Franco Albini  ha insegnato a Venezia fino al 1964 quando venne chiamato dalla Facoltà di Architettura di Milano dove io frequentavo il quarto anno. Era il periodo della prima occupazione della Facoltà. Nel mio anno accademico 1964 è iniziata una battaglia contro gli accademici dell'epoca per uno scopo che allora aveva dei precisi obbiettivi culturali, che poi sono diventati politici, ma che nel 1964 erano voglia di modernità. Noi pretendevamo che venisse insegnata l'architettura moderna, quella degli anni trenta, quella razionalista, l'arte moderna, l'arte astratta, il cubismo. I programmi di insegnamento di allora non concepivano  che si parlasse di modernità: tutto si fermava alla fine dell'Ottocento, primi del Novecento, perché la modernità aveva un sentore politico e non bisognava parlarne. Questo accadeva sia nelle scuole, sia nelle università. Così noi facevamo architettura disegnando il capitello, le colonne, il tempio dorico, le piante degli edifici “moderni”, se vuoi, ma con in testa gli stili. Chiedevamo:<< Ma allora Le Corbusier, chi è? Non ce lo insegnate?>> I docenti rispondevano che non era nel programma! Insistendo, insistendo, questi insegnanti reagirono battendo il pugno e minacciando di sospendere tutti. La nostra risposta fu l'occupazione della Facoltà! Non so come sia avvenuto questo fatto ma ci fu un vero e proprio sollevamento popolare perché questa storia ci aveva fatto seriamente incazzare! In seguito, intorno al 1965, l'onda studentesca dilagò un po' ovunque: dall'America, alla Francia e così via.
Nel ‘64 accadde che uno dei professori più incattiviti nell'opporsi alle nostre intensioni, prossimo alla pensione, si dimise e nacque la necessità di chiamare altri due docenti. Gli studenti in assemblea chiesero che venissero due professori da Venezia: uno era Albini e l'altro Belgiojoso.
Quando mio padre arrivò a Milano, tra il 1964 e il 1965, da allora in poi il problema della gestione studentesca della Facoltà assunse una piega assolutamente politica, anti architettonica: c'era l'atteggiamento rivoluzionario della “tabula rasa”, si chiamava così, ossia quello di azzerare  la cultura, la società, per ricominciare da zero. Tutte queste cose hanno portato danni enormi, e la formazione degli studenti di quegli anni fu un disastro!
Mio padre, di fronte a tutto ciò, era molto curioso perché si ricordava della sua gioventù in cui anche lui si opponeva al passato e pensava :<<Magari hanno ragione!>> Non riusciva, però, a dare dei contributi perché era un architetto e non poteva, non voleva insegnare come si facevano le barricate! Ebbe una grande sofferenza perché tutto questo  si inoltrò all'incirca fino al 1975: per quasi dieci anni! Contemporaneamente nel 1970 papà si è ammalato, è morto nel 1977 dopo sette anni di malattia, anche per questo ha lasciato la scuola.


Per concludere, le chiedo: sulla base delle esperienze maturate anche “per tradizione”, lei crede che oggi l'architetto andrebbe “riprogettato”?
Più che riprogettare l‘architetto andrebbe riprogettato il mestiere, occorrerebbe far partecipare gli architetti alle fasi di progettazione anche di tipo decisionale. Purtroppo da sempre è considerato un “facciatista”: viene chiamato per decidere il colore, mettere a posto le facciate, fare una composizione più “carina”, mettere a posto le piante… Le scelte iniziali di tipo urbanistico, architettonico, compositivo, quando viene interpellato sono già state fatte. Questo fa parte di una crisi della professione e di un dualismo tra urbanistica e architettura, mentre al tempi di mio padre si parlava di “forma della città” adesso l'urbanistica fa pianificazione, non si occupa di fatti formali e gli architetti fanno monumenti. Quelli contemporanei fanno sculture, autocelebrazione, fanno immagini il più visibile possibile sopratutto nelle architetture pubbliche: vanno sui giornali, vogliono l' impatto visivo. Fanno parte di un mondo in cui i consumi e la pubblicità rendono l' apparenza elemento supportante. Ciò è per me negativo. Spero che la crisi attuale porti a riflettere verso una maggiore serietà. Credo, però, che l'architetto abbia fatto grosse sperimentazioni liberandosi dall'edilizia. Ci  sono pure dei progetti interessanti che hanno dato più lustro all'architettura e più importanza agli architetti in quanto, forse,  un progetto ben fatto migliora anche l'aspetto economico e quindi quello della vendibilità. Sicuramente il mondo è peggiorato da un punto di vista burocratico, su aspetti in cui non ci chiamano a esprimere un parere. Negli ultimi decenni, per fortuna, un fattore positivo è che si sia rafforzato il sistema dei concorsi il quale permette un dibattito e quindi dei confronti.
Il mestiere degli architetti risente pure della pessima pubblicità che gli ha fatto l'ottanta per cento della categoria che produce tante di quelle cose orrende che si vedono in giro: per forza la gente prende la distanza! C'è molto sospetto forse perché nel passato gli architetti son stati citati per speculazioni edilizie, traffici, tangenti. Molti sono di scarso livello, sono troppi e, chissà perché, non diminuiscono.


Marco Albini mi ha salutato esclamando: <<Chissà cosa verrà fuori da questi piccoli racconti!>> Il suo studio, in Via Telesio 13 a Milano, è un posto accogliente: la stanza in cui si è svolta la nostra conversazione conteneva una luce moderata, grandi plastici, oggetti realizzati ed un ritratto di Franco Albini. Tutto “avvolgeva” il nostro dialogo.
Troppo spesso la nostra frenesia ci porta ad offuscare la memoria.
Per un attimo, navigando con la fantasia, ho avuto il privilegio di immaginarmi lì, anni addietro, con un camice bianco a polsini stretti e un taschino pieno di matite…


Marco Albini, architetto, è Professore associato di Architettura degli Interni e Allestimenti alla Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano per cui è anche responsabile del Laboratorio “Architettura dei luoghi della mobilità” nell'Area di ricerca “Urbanistica dei tempi e della mobilità” del Dipartimento di Architettura e Pianificazione .
Dal 1996 è Membro effettivo del Consiglio Direttivo del Museo Teatrale alla Scala. Dal 2002 insegna nel nuovo corso di laurea “Architettura dei luoghi della mobilità e urbanistico dei tempi moderni” presso la sede di Piacenza.
Nel 2006 viene nominato componente della commissione giudicatrice della “Procedura di valutazione comparativa a n. 3 posti di Ricercatore Settore Scientifico Disciplinare ICAR/16” 1^ Facoltà di Architettura “L. Quaroni” dell' Università degli Studi di Roma “La Sapienza”.
Ha curato diverse mostre tra le quali ricordiamo: "La natura morta al tempo di Caravaggio" e "I capolavori della collezione Doria Pamphilj - da Tiziano a Velàzquez", presso la Fondazione Arte e Civiltà, Milano (1996); "I segni dell'arte. Il Cinquecento da Praga a Cremona", presso Palazzo Affiatati, Cremona (1997); "Luca Beltrami e la Milano del suo tempo", presso la Triennale di Milano (1997); "Ambrogio. L'immagine e il volto", Museo Diocesano, Milano (1998);
Contemporaneamente svolge la libera professione, il suo studio -“Architetto Marco Albini” - si trova a Milano.

Fra i suoi ultimi lavori in campo professionale:
1996, Adeguamento dei Chiostri di Sant'Eustorgio e allestimento museografico del Museo Diocesano, Milano; Progetto e Direzione Lavori
1996, Adattamento di spazi a mostre temporanee, Fondazione Arte e Civiltà, Milano;
1997, Progettazione dell'illuminazione scenografica del Castello Sforzesco, con P.Castagna, G.Ravelli
1999, Restauro e realizzazione di: albergo, ristorante, Accademia Europea del Gusto, enoteca, sala conferenze, banca del vino; POLLENZO - BRA (Cuneo), con M.Miraglia, E.Villani, L.Villani, TEKNE s.p.a.; Progettazione e direzione lavori; Committente: Agenzia di Pollenzo
2001, Progetto nuova sede Banca Intesa, SESTO SAN GIOVANNI (Milano); Committente: Banca IntesaBci
2002, Ristrutturazione, conservazione e restauro del complesso monumentale dell'ex Monastero di S. Maria Assunta in Cairate, CAIRATE (Varese); Committente: Provincia di Varese.
2004, Restauro e recupero della Manica Nuova di Palazzo Reale con il successivo allestimento della Galleria Sabauda in TORINO; Committente: Soprintendenza Piemonte.

Fra le principali pubblicazioni:
2006 ALBINI - “ZERO GRAVITY - FRANCO ALBINI - COSTRUIRE LE MODERNITA'” a cura di Federico Bucci e Fulvio Irace - Triennale-Electa - saggio "Evoluzione di una poetica" - pag. 199/215 - (testimonianza sulla continuità)
2006 Documenti di Architettura - I MUSEI E GLI ALLESTIMENTI DI FRANCO ALBINI- a cura di Federico Bucci e Augusto Rossari Ed. Electa - saggio "Il meno è il più" In studio con mio padre - pag. 208/215
2005 Collana di Architettura - NUOVA ESTETICA DELLE SUPERFICI “NEW SURFACE AESTHETICS” Campo Baeza - Garcia Abril - Machado and Silvetti - Pacheco+Clément Silvestrin - Albini a cura di Vincenzo Pavan - gruppo editoriale faenza editrice s.p.a.  - VERONAFIERE
"Tradizione e Memoria: il Museo del Tesoro di San Lorenzo" - "Tradition and Memory: the San Lorenzo Treasury Museum"
2005  el Famedio del Monumentale “Il Pantheon di Milano” a cura di Giorgio Taborelli e Raimomdo Cantucci - Profilo di “Piero Portaluppi” - Presidenza del Consiglio Comunale di Milano - Chimera Editore
2004 Urbanistica - 125 Serie Storica - Settembre-Dicembre 2004 - “I luoghi della mobilità, ovvero il progetto degli spazi pubblici abitati temporaneamente”
2004 “DO.CO.MO.MO Italia” - giornale - Nr. 15 luglio 2004 - Collaborazione alla stesura del numero con arch. Kea Bea Jones :- “Moderno e memoria Albini a Genova - Museo del tesoro di San Lorenzo”
2004 “Genova - Guida Di Architettura Moderna” - Volume realizzato per “Genova 2004, Capitale Europea della Cultura”  - Introduzione “Franco Albini a Genova, 30 anni di sperimentazioni”
2003, Architettura moderna alpina, regesto cronologico delle opere Franco Albini, musumeci editore, Pagg. 237-249
2003, “Concorso della Nuova Stazione di Torino Porta Susa”, Progetto pubblicato su l'ARCA - n° 187 dicembre 2003 - Supplemento IL NODO URBANO, pag. 119
2000, M. Albini, (a cura di), Musei lombardi: prospettive - Progetti, Lybra Immagine, Milano, pp.143
2001, M. Albini, con Silvio D'Ascia, « La nuova dimensione temporale e la costruzione della città contemporanea », Territorio, n. 18, pp.38-39.
1999/2000, M. Albini, (a cura di), La sicurezza nei musei lombardi, Regione Lombardia, Milano, pp. 470
1999/2000, M. Albini, « Progetti diversi relativi al Castello nel XIX secolo», in Luca Beltrami e il Castello Sforzesco, Edizioni Comune di Milano, Regione Lombardia, Milano, pp. 13-16