Architettura

Lì dove muore, l’architettura rinasce
di Riccardo Dalisi

"Si muore per rinascere": è un antico detto, un’antica sapienza; forse è così anche per i numerosi segnali di immenso stress provenienti oggi dall’architettura. Cosa è l’opera di Frank O. Gehry se non un dirompente disorientamento? Un affascinante spostamento di piano, un'ardita avventura, una lacerazione di ogni consueto vedere? Ecco il suo Parisier Platz 3 DG Bank Building: un edificio a pianta regolare definisce un patio rettangolare coperto con un velario in acciaio e vetro adagiato e sgusciante verso l’interno, mentre la sala di riunione è definita e racchiusa da una sorta di gigantesco metallico teschio asimmetricamente accartocciato, firma inconfondibile dell’autore. Ma tale "bucranio" sembra galleggiare su una bolla reticolare di vetro che, gonfiandosi, pavimenta il patio.

DG Bank Building a Berlino di Frank Gehry

DG Bank Building a Berlino di Frank Gehry

Ogni solida e stabile geometria dello spazio è insidiata e sovvertita nel cuore stesso dell’edificio.

Ciò richiama tantissime altre movenze assonanti, da Peter Eisenman a Rem Koohlaas a Zaha Hadid.

In tante altre esperienze il corpo di fabbrica si smaterializza, perdendo completamente il senso di "essere spazio", assai più dei grattacieli di vetro che conservano, comunque, una loro limpida e riflettente stereometria.

Questa procedura, questa visione, questo modo di sentire e di realizzare l’opera architettonica è coerente con il processo di sviluppo dell’architettura stessa, che dalle prime stereometrie materiche, dense di pesante oggettività (i menhir, i dolmen), va verso la leggerezza e la pura apparenza.

In questo percorso, tutto si snoda, si lacera e si svuota. Aderisce al faticoso sviluppo del pensiero di tutto il secolo scorso secondo cui la realtà (e quindi lo spazio e quindi l’architettura) è dentro l’uomo, e la fisicità è apparenza. Essa è, ed è in quanto percepita. L’architettura esiste soprattutto nello spirito dell’uomo, un’apparenza che "galleggia nei cuori ingannati". L’architetto svela l’inganno.

La relatività svelata lacera ogni consuetudine alla regolarità e restituisce il puro riflesso di luce. Lo spazio non è altro che luce. L’uomo, la coscienza dell’uomo, dunque, non è che luce in un'instancabile emanazione di realtà.

La fisicità pesante è ombra (produce ombre) e l’architettura nei nostri giorni non può non "riflettere" tutto ciò, rarefacendo ogni contenuto d’ombra.

In questo periodo di grande perdurante crisi della società in trasformazione non poteva darsi una vera unità stabile, un’architettura di cui essa fosse specchio. Ed infatti, se ogni epoca racconta la sua crisi, ma se noi ne registriamo un coerente rapporto alimentante tra architettura ed edilizia, oggi vi è una separazione insanabile tra l’altissima qualità dell’una e l’abissale squallore del costruito corrente.

Un edificio destinato a rappresentare ed esprimere ciò che è al centro della dinamica sociale (una banca, un museo, un teatro …) nega, pur contenendola, la funzione stessa, svirgola, si fa spettacolo, senza attenzione, senza alcuna appropriata misura. Denuncia il vuoto di ideali dell’uomo del globo. Svanisce il corpo, si contorce lo spazio. Il suo contorcersi stupisce e meraviglia. È uno stupore che porta altrove. Stupisce perché rivela l’uomo all’uomo. Lo stupore è svelamento: l’uomo globale infatti non è in realtà in nessun luogo definibile e stabile, non è in nessun luogo.

In questo senso già aveva operato l’arte: una tela dipinta di nero uniformemente (Rotko per dieci anni non ha dipinto che tele nere), l’uomo si rispecchiava in essa. Un puro volume di luci slabbrate lo si definisce architettura.

E però, come "la notte fa nascere miriadi di mondi" (Night to myriad worlds gives birth, Hopkins), così il nulla, il vuoto, l’assenza attuale farà nascere qualcosa di nuovo. Lì dove muore, l’architettura rinasce. Esaltato interesse per la ricerca.

Oggi costruisco edifici di cartone, modello lo spazio effimero cartaceo come un tempo facevo troni di cartapesta. Ora è saliente la fotografia e la ripresa dell’irrompere della luce.

E così lo stesso per le sculture, per l’approssimarsi prima alla matericità pesante che esprime sentimenti. Ciò che è reale è l’immagine, è il modo di guardarla, di illluminarla, di collocarla. Rimanda all’osservatore, come sempre è stato. E così l’amore per l’uso della latta e dei metalli per le sculture leggere, per le caffettiere … il senso vero è al di là dell’apparente senso giocoso.

E così mi provo a riprenderle nell’architettura di cartone, nella suggestione dello spazio composto e nei volumi bucherellati di latta. Grandi volumi e sculture di materiale effimero ed evanescente quale è il lamierino stagnato.

Disegno di Riccardo Dalisi

Disegno di Riccardo Dalisi