Architettura

Dieci domande a Enrico Morteo

di Ivana Riggi

Oggi ho il piacere di intervistare Enrico Morteo, architetto noto per i suoi interventi storico-critici sul design, ex direttore editoriale di Abitare, collaboratore di numerosi periodici, autore e conduttore di programmi televisivi, scrittore. Cercherò di discutere con lui per conoscerlo meglio e riflettere insieme.

Con Shigeru Ban - conferenza , Triennale di Milano 2004

Con Corrado Levi e Alessandro Mendini, Triennale di Milano 2002

Intervista a Philippe Starck, 2001

Presentazione Adi Design Index, Triennale di Milano 2009

A New York, 2005


Un ricordo di Adriano-Olivetti, 1954

Catalogo Roberto Sambonet - Officina Libraria, 2008

Cerimonia consegna XXI Compassi d'Oro - Reggia Venaria Reale, 2008

Grande Atlante del Design, Electa  2008

Grande Atlante del Design, traduzione tedesca, Electa 2009


Grande Atlante del Design, traduzione francese, Electa 2009

Grande Atlante del Design, traduzione spagnola, Electa 2009

Locandina mostra Olivetti. Grafica Daniele Ledda, 2008

Mostra Roberto Sambonet - Palazzo Madama, Torino 2008

Torino WDC 2008, revisione corsi estivi

Enrico Morteo, chi era e cos'è diventato? Mi racconterebbe, in breve, il suo vissuto: studi, incontri, un fatto che l'abbia particolarmente segnata nelle scelte professionali?
Posta così la domanda mi sembra un poco drastica. Spero di essere me stesso, certo oggi un poco più maturo (eufemismo dietro cui si nasconde l'idea della vecchiaia), ma ancora quello di una volta. Cioè, un architetto che ha sempre coltivato il sogno di continuare a studiare, leggere libri, guardarsi intorno e cercare di capire il perché delle cose.
Sinceramente non amo parlare tanto di me, non credo che le mie avventure siano particolarmente interessanti e non credo di avere un curriculum così anomalo. Cercherò quindi di riassumere i passaggi in breve. Mi laureo in Composizione Architettonica al Politecnico di Torino nel 1984, abbondantemente fuori corso, con una tesi critica sul trapasso da moderno a post-moderno. Nel frattempo ho frequentato alcuni corsi della Washington Univerisity con Astra Zarina e Steven Holl e sono stato assistente alla regia in occasione della messa in scena di uno spettacolo di Jean Dubuffet: per un pelo non abbandonai l'università per trasferirmi a Roma e fare l'aiuto regista di Giorgio Treves che curò le riprese di quello spettacolo.
Inizio la professione come molti, curando ristrutturazioni di appartamenti ville e negozi, senza però abbandonare l'università, dove collaboro al corso di Piero Derossi.
La svolta, se così si può dire, avviene quando mi fu offerta l'opportunità di entrare a far parte della redazione di Domus, allora diretta da Mario Bellini. Ciò significa nel 1987 lasciare Torino e l'università. Nel giornale inizio sistematicamente ad occuparmi di design, materia che non avevo mai approfondito se non disegnando qualche arredo e, da studente, nel corso tenuto da Achille Castiglioni. Questa mia ignoranza mi ha spinto a studiare molto, a farmi un sacco di domande e ad avvicinare il tema ‘dal basso' evitando così la supponenza di molti ‘specialisti'. Domus era (e forse è ancora) un posto eccezionale. Da Mario Bellini ho ricevuto molti insegnamenti per capire gli oggetti e imparare a valutarli. Un episodio rimane per me emblematico: di fronte ad una sedia, a chi gli chiedeva come fosse possibile esprimere un giudizio, lui disse candidamente :”sedendocisi sopra”. Come redattore viaggiai molto e incontrai tantissime persone che altrimenti mi sarebbe stato difficile avvicinare: Charlotte Perriand, Robert Venturi & Denise Scott Brown, Renzo Piano, Frank Ghery, David Chipperfield, Ross Lovegrove, Rem Koolhas, Eduardo Soto de Moura, Eric Miralles… un elenco lungo e noioso, anche perché non ho mai cercato di approfittare di questi incontri per tessere strategiche amicizie. Ricordo però con molto piacere due interviste con Alvaro Siza e Jeames Sterling che credo abbiano mantenuto nel tempo una loro attualità.
L'esperienza con Domus cessa nel 1993. Continuo però a collaborare con altre riviste, consolidando una mia professionalità da ‘pubblicista' del design sulle pagine di Modo, Abitare, Interni, Rassegna. Non abbandono però l'architettura, anche se solo scritta, perché Garzanti mi chiede di stendere per l'allora imminente Garzantina di Architettura una specie di breve storia universale che dovrà chiudere il volume. Incarico che svolgo, come in trance fra il maggio e l'ottobre del 1995. Contemporaneamente inizio per caso a lavorare per la radio e da quel momento, per ben 8 anni, ho passato sei mesi all'anno a Roma collaborando a Radio3, come autore e conduttore di vari programmi. Credo, con il senno di poi, che sia stato il più bel mestiere che mi sia capitato di fare.
Nel 1997 vengo incaricato del corso di Teoria e Storia del Design presso lo IUAV di Venezia, incarico rinnovato sino al 2000. Deluso dalle vaghezze accademiche, accetto di diventare direttore editoriale di Abitare Segesta, piccolo editore milanese che pubblica Abitare, Costruire, Case da Abitare, che aveva appena messo in piedi un progetto televisivo in società con RaiSat. Per un anno sono stato direttore del quotidiano televisivo RaiSatArt-Abitare, che in un anno ha prodotto più di 90 ore di programmi originali. Per Abitare ho curato una piccola collana di volumi dedicati al design e all'architettura di interni che si chiamava Prontuario. L'esperienza termina nel 2006, con l'acquisizione di Abitare da parte di RCS.
Nel 2008 sono stato coinvolto nell'organizzazione di Torino 2008 World Design Capital e ho curato una mostra dedicata alla Olivetti (Olivetti: una bella società) e a Roberto Sambonet (Roberto Sambonet: design, grafico, artista).
Sempre nel 2008 ho pubblicato per i tipi della Electa il Grande Atlante del Design.
Oggi collaboro con aziende private come consulente, curo progetti editoriali e di comunicazione, e sono stato incaricato dalla Fondazione Adi di curare la collezione storica del Compasso d'Oro.

Lei è stato direttore editoriale di Abitare in quel periodo, mi pare fosse il 2001, RaisatArt, pacchetto dei canali satellitari della Rai, realizzò in collaborazione con la rivista un programma dedicato all'architettura e al design. Mi parlerebbe di quella esperienza, com'era articolata e come raccontavate quei temi?
Non c'è dubbio che la prospettiva di potermi avvicinare al mezzo televisivo fu la ragione che mi spinse ad assumere il ruolo di direttore editoriale di Abitare Segesta. Mi sembrava che, dopo aver conosciuto i meccanismi della comunicazione scritta e di quella radiofonica, fosse molto interessante avvicinarmi ai linguaggi della comunicazione video. È stata senza dubbio un'esperienza molto appassionante, ma anche molto difficile. Allora la televisione era ancora un mezzo per molti aspetti ‘pesante', sia in termini tecnici che economici. Lavorare in coproduzione con Rai Sat significava gestire budget notevoli ma anche vincoli altrettanto importanti sia in termini operativi che burocratici. La speranza era quella di riuscire ad interessare il mondo dei produttori del design, ma forse ci muovemmo troppo in anticipo e quel progetto non riuscì mai a raccogliere il sostegno pubblicitario di cui aveva bisogno.
Nonostante questo, riuscimmo a produrre due o tre format che credo interessanti,  dedicati sia all'architettura che al design. Diciamo che la chiave di volta del progetto era quella di evitare una televisione per specialisti. Volevo sottrarmi al gergo degli architetti e dei designer privilegiano piuttosto il ruolo divulgativo della televisione. Non volevo fare concorrenza alle riviste di settore, quanto trovare un linguaggio che parlasse a tutti, visto che tutti viviamo in luoghi urbanizzati, abitiamo case comunque arredate, usiamo oggetti che qualcuno ha disegnato e prodotto.
Con il senno di poi non so se sia stata la scelta  migliore. In ogni caso l'esperienza durò solo una anno, poi ci furono divergenza fra Abitare e la Rai e tutto finì. Mi rimangono alcune amicizie e la consapevolezza che il mezzo televisivo rimane un arma a doppio taglio, dove la vanità è sin troppo vezzeggiata dalla forza autonoma delle immagini.

Secondo lei che relazioni esistono oggi tra architettura, design e strumenti mediatici? Le trova ben gestite?
Premesso che oggi i mezzi di comunicazione giocano apertamente un ruolo strategicamente attivo e non si limitano a registrare le notizie, queste considerazioni investono anche il mondo dell'architettura e del design. La cultura degli eventi, che negli ultimi decenni si è sostituita alla cultura dei fatti, è una delle ricadute più vistose della contemporanea società dello spettacolo. Nel bene o nel male siano orami tutti degli spettatori: basta vedere quanto spazio occupano sui giornali (o sul web) le cronache che riguardano cinema, televisione e mostre, tutte cose da guardare e non toccare, per le quali si paga un biglietto (o un abbonamento).
Anche architettura e design si sono adeguate, producendo i loro protagonisti planetari, i loro linguaggi globali, i loro stili sempre più simili alla moda.
È la stampa bellezza, e tu non puoi farci niente.

Una rivista di settore che trova interessante e perché.
Non c'è una rivista che ritengo migliore. Ne sfoglio diverse, anche abbastanza distrattamente. Quello che mi interessa è l'impressione d'insieme che producono in modo automatico e involontario. E poi ci sono i quotidiani, il web, le televisioni. Design e architettura non sono più solo materia per pochi. L'importante è guardare anche le riviste straniere. Illuderci di essere ancora il centro del mondo è un errore imperdonabile.

Giro una domanda che lei fece in un'intervista a Philippe Starck: “Dostojeski diceva che la bellezza può salvare il mondo. È d'accordo?”
Certo che fatta a me, che non disegno decine di presunti begli oggetti ogni anno, la domanda ha un altro sapore. Comunque, proviamo a dire così. Credo serva la tensione verso la bellezza. Come ci ricorda un recente volume di Umberto Eco, il bello non è una categoria stabile e la bellezza è un ideale in continua evoluzione.  Soprattutto, sono convinto serva ricostruire una nozione di brutto, rispetto alla quale impostare i parametri di una bellezza futura. Oggi bellezza è quasi sinonimo di lusso e di eccesso. Non credo possa durare a lungo. Se non recuperiamo un qualche limite alla volgarità, non troveremo mai nuovi canoni di eleganza.

Un architetto del passato e uno di oggi che trova interessanti e perché.
Credo sinceramente che il mondo non si risolva con un'unica variabile di un sistema binario.
Più che uno o due architetti, vorrei segnalare un'attitudine. Non mi piacciono gli architetti formalisti, mi piacciono gli architetti che si fanno domande e non danno risposte certe, mi piacciono i progettisti che sperimentano invece di applicare formule collaudate.
E allora Guarino Guarini, Francesco Borromini, Buckminster-Fuller, Eladio Dieste, Robert Venturi, James Stirling, Jan Duiker, Luis Barragan…
Oggi mi interessano le sperimentazioni latinoamericane. Dalle raffinate architetture di Paulo Mendes da Rocha alle esperienze comunitarie realizzate in Brasile, Venezuela, Cile, Colombia. Il libro più interessante che ho letto di recente si intitola Manual do arquiteto descalço (Manuale dell'architetto scalzo). L'ha scritto Johan Van Lengen, un architetto olandese che da decenni vive in latinoamerica ed è esperto di architettura spontanea e bioclimatica.

Nel 2008 Torino ha accettato il titolo di capitale mondiale del design. A guidare questa importante macchina organizzativa siete stati lei, Guta Moura Guedes, Michael Thomson, Gillo Dorfles. Si è potuta ritenere una sfida? Se sì, perché?
Piano: noi quattro eravamo solo il comitato scientifico. C'erano poi un consiglio di amministrazione e una efficientissima macchina organizzativa ben radicati nella società e nel territorio.
Però sì, credo che per Torino sia stata una sfida, vinta anche abbastanza bene. Torino non è conosciuta come città del design, soprattutto la città non si è mai sentita un centro del design. Questo anno è servito prima di tutto a Torino per prendere miglior coscienza di sé e del proprio potenziale.  Ricordare quanto design ci sia in un'automobile è, credo, superfluo. Ma Torino è stata anche la città della poltrona Sacco e di molto design radicale; è la città di Armando Testa e dello Slow Food. E poi, a 40 chilometri da Torino c'era la Olivetti. Bisognava riallacciare dei fili, rimettere in relazione memoria e futuro. Qualche cosa è stato fatto.

Restando nell'ambito di Torino World Design Capital ci furono oltre 200 manifestazioni fra eventi, rassegne, convegni, concorsi, mostre e workshop. Tra queste ve ne fu qualcuna, in particolare, di cui restò molto soddisfatto e, contrariamente, qualche altra che la deluse?
Le delusioni, quando ve ne fossero, vanno dimenticate in fretta. A prescindere da quanto fatto da me o dai miei colleghi del comitato scientifico, credo che valga la pena ricordare tutte le iniziative che hanno coinvolto i più giovani: le comunità cittadine dei giovani progettisti così come i corsi estivi per studenti di tutto il mondo. Investire nel futuro non delude mai.

Lo scorso 29 aprile, alla DesignLibrary di Milano è stato protagonista, insieme a Mario Bellini, Luisa Bocchietto, Giovanni Cutolo di uno del ciclo di incontri “I Giovedì ADI”: “Una  storia dell'ADI”. Si tratta della maggiore istituzione del design nazionale. Cosa pensa della storia progettuale italiana: che tipo di evoluzione ha avuto il design?
Questo, accidenti, sarebbe il tema di un corso universitario! Diciamo tardivo, travolgente, innovativo, domestico, ludico, colorato, radicale e oggi globale, patinato, forse un po' troppo lussuoso e modaiolo.

Nel salutarla, ringraziandola, le chiedo: nuovi propositi?
Continuare a divertirmi.


Note biografiche
Enrico Morteo
, architetto, scrive e talvolta insegna storia del design.
Ha collaborato con numerose riviste e case editrici, fra cui Domus, Abitare, Modo, Interni, Utet, Garzanti, Electa.
È autore di programmi radiofonici per Rai Radio3 ed ha curato trasmissioni televisive per RaiSatArt.
Ha fatto parte del comitato scientifico di Torino 2008 World Design Capital.
Ha curato recentemente alcune mostre fra cui ‘Olivetti: una bella società' e ‘Roberto Sambonet - designer, grafico, artista'.
È autore del volume Grande Atlante del Design, uscito nel 2008 per i titoli Electa.
È curatore della collezione storica del Compasso d'Oro.