Architettura

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Un nuovo grattacielo nella griglia di Manhattan

di Aldo Micillo

Parliamo ancora di New York, dei suoi edifici, delle vicende urbane che tanta influenza hanno avuto nell'ambito internazionale, delle esperienze di questa "città del mondo - per parafrasare il libro postumo di Elio Vittorini - che ancora allo stato attuale è generatrice di cultura urbana, di confronto tra le aspirazioni globalizzanti dell'economia di mercato e le problematiche di abitabilità locali.

Questo discorso comincia con un episodio recente e importante per la città, non quello della distruzione delle due torri gemelle del World Trade Center ma, al contrario, di un atto fondativo di un nuovo emblematico edificio per questa metropoli mondiale, qual è stato il concorso per la sede del New York Times. Le considerazioni sul progetto vincitore diventano la porta di accesso alle vicende che si sono succedute nella storia urbanistica di Manhattan, e agli episodi più significativi che hanno influenzato l'evoluzione del grattacielo moderno, in particolare accadute proprio a New York nel corso dell'ultimo secolo. È sembrato opportuno sviluppare questo discorso in vari articoli, in cui, dalla descrizione del progetto selezionato, esso si ramifica seguendo l'evoluzione della tipologia a torre, approfondendo soprattutto la tappa del Manhattismo e la sua stretta relazione, in questo caso, con l'ordinamento dello spazio urbano generato dalla griglia che forma i 2028 isolati dell'isola di Manhattan, al fine di approfondire la singolare connessione tra un tipo architettonico e il disegno urbanistico di questa città, parametro importante per trarre qualche riflessione anche sulla soluzione progettuale di Renzo Piano. Nel percorso che gli articoli propongono, si prova ad andare oltre le tappe della cultura della congestione e della "città del mercato", sulle quali si è soffermato Rem Koolhaas nel suo "Delirius New York", per giungere, attraverso il caso specifico del progetto per il New York Times, ad alcune tematiche attuali: il rapporto tra localizzazione e globalizzazione, i contenuti "mediatici" degli edifici più emblematici, gli aspetti percettivi dello spazio costruito e l'equivoco rapporto con "l'immagine" (fotogenica) dell'opera, la tettonica dell'edificio o la sua "immaterialità", o, se si vuole, "virtualità". Sullo sfondo, infine, si intravede la fertile esperienza di Renzo Piano che, da più di trent'anni, attraversa i momenti significativi dell'architettura contemporanea.


IL PROGETTO PER LA NUOVA SEDE DEL NEW YORK TIMES
Il concorso per la nuova sede del New York Times, espletato nel 2000, ha avuto come tema il progetto di un'architettura nei pressi del caos di colori luminosi, superfici specchianti e scritte al neon stordenti di Times Square, particolarmente impegnativa non solo per la speciale situazione contestuale, cioè questo accumulo di edifici, spazi e significati urbani che è la Midtown a Manhattan, ma anche perché si tratta della futura sede di uno dei quotidiani più importanti in America e nel mondo, per cui si è voluto un edificio "altamente rappresentativo", secondo le parole dello stesso Michael Golden, vicedirettore generale ed ex vicepresidente del Times.

Cortesia Catherine Mathis

Cortesia Catherine Mathis, VP, Corporate Communications del New York Times, 18-12-2001

Al concorso hanno preso parte, tra gli altri, Frank O. Gehry Associates (in associazione con Skidmore, Owings & Merril), Cesar Pelli & Associates, Foster & Partners. Tra i progetti, consegnati nel settembre del 2000, il critico d'architettura del Times, Herbert Muschamp, aveva una particolare preferenza per il progetto di F. O. Gehry1, consistente in una torre rivestita di uno screen traslucido, aperto sia alla base sia in sommità, secondo le geometrie sghembe proprie del linguaggio ben riconoscibile dell'architetto americano.

Cortesia Catherine Mathis

Cortesia Catherine Mathis, VP, Corporate Communications del New York Times, 18-12-2001

In ogni caso, la sensazione è che i due principali contendenti fossero proprio il progetto di Gehry e quello di Renzo Piano, che non ha avuto difficoltà a vincere quando, a poco più di una settimana dall'annuncio dell'esito del concorso, l'architetto americano e suoi associati hanno comunicato, per lettera, l'intenzione di ritirarsi dalla competizione. Il 1° ottobre R. Piano era a New York già con un'ipotesi progettuale da sviluppare ulteriormente secondo le richieste della committenza.

Il nuovo edificio sarà alto circa 200 m. (52 piani), conterrà più di 117.000 mq., avrà spazi commerciali e un giardino al piano terra, uffici fino al 50° piano, mentre gli ultimi due piani alloggeranno ambienti tecnici e servizi per conferenze. L'architetto italiano ha asserito che per la sua soluzione progettuale ha preso ispirazione dallo schema e dalla simmetria della griglia rettangolare delle strade di Manhattan, progettando un edificio dalla morfologia "semplice, primaria e leggera"2. Per realizzare ciò un elemento molto importante sarà il curtain wall di vetro. Sottili barre orizzontali bianche di ceramica estrusa, assicurati ad una struttura di acciaio circa mezzo metro davanti al cristallo, schermeranno gran parte di questo muro trasparente, costituito da infissi con vetro-camera per assicurare la giusta coibenza. I tubi di ceramica, finalizzati anche all'ottenimento di un alto grado di efficienza energetica per il riscaldamento e il raffrescamento degli ambienti interni, filtreranno i cambiamenti dell'intensità luminosa del cielo durante il corso del giorno, riflettendo la luce di differenti angolature, con possibili variazioni cromatiche della facciata. Verso la cima dell'edificio lo schermo di tubi diventerà meno denso e la sua trasparenza permetterà la vista del verde del tetto-giardino. "Al livello della strada", continua Renzo Piano, "l'edificio sarà aperto, trasparente e permeabile". Le divisioni vetrate degli spazi al piano terra renderanno visibili dalla strada le attività interne e il giardino a questo livello. Un auditorium di 350 posti, gestito dalla Times Company, pure sarà alloggiato al piano terra. Il muro dietro il palco dell'auditorium sarà di vetro, per permettere al pubblico di vedere il giardino al livello terra. L'auditorium sarà utilizzato per eventi civici e culturali e sarà disponibile per associazioni no-profit almeno per 104 serate all'anno. La sezione per le informazioni del New York Times occuperà i piani dal 2° al 7° e, secondo le intenzioni dell'architetto, "apparirà nelle strade intorno come una grande lanterna magica, continuamente accesa e costantemente in attività"3.

Questa descrizione comincia ad evidenziare i punti salienti del progetto dell'architetto italiano. Per mettere meglio a fuoco il carattere tettonico di questo edificio, è lo stesso Renzo Piano che, in una bella intervista rilasciata a Robert Ivy, sintetizza i valori, i punti iniziali che ne hanno influenzato la progettazione. Egli commenta: "mi piace parlare di espressione in architettura. Mi piace lottare con la forza di gravità. La magia è essenziale in architettura. Nel lavorare a Manhattan, mi piace l'idea che si possa accettare la chiara e semplice geometria di un edificio, che si accetti questa logica. Allora la complessità verrà da altri elementi: dalla texture, dalla vibrazione, dalla metaforica capacità dell'edificio di trasformare, di cambiare, di respirare (...). La complessità non viene necessariamente dalla complessità delle geometrie della forma. L'edificio progettato è molto semplice, ma la sua complessità viene dalla pelle, dalla superficie dell'edificio che vibra a secondo del tempo. Penso che l'edificio del Times a Manhattan sarà grave quando tocca il terreno e diverrà via via più leggero, più vibrante, più metaforico fino a sparire nelle nuvole"4. Quindi appare chiaro come, accanto ad una semplicità quasi ovvia della divisione in pianta e in alzato dell'edificio, caratteristica che lo accomuna ad una sorta di "minimalismo efficientista" o di "funzionalismo commerciale" propri della cultura progettuale di Manhattan, l'elemento al quale Renzo Piano ha affidato la forza innovativa, la qualità architettonica ed identificatrice dell'edificio è la sua pelle, e cioè il diaframma di tubi di acciaio rivestiti di ceramica bianca, finalizzato all'osmosi tra lo spazio interno e l'aspetto esterno della costruzione. Tale elemento, d'altronde, deriva da simili tecnologie già utilizzate nelle opere dell'architetto genovese, per esempio nell'intervento di Postdamer Platz a Berlino.

Il progetto è stato presentato al pubblico internazionale nella ottava biennale di Venezia: nella sala dell'Arsenale dedicata alle torri erano esposti vari modelli a diversa scala, centrati ora sul rapporto urbanistico e sull'inserimento nel lotto, ora sui particolari costruttivi e sul rapporto tra pannelli verticali, sia di divisione interna che di chiusura esterna, e solai orizzontali, che si elevavano con un ritmo ripetitivo intorno al nucleo rigido centrale. Anche in tale occasione Renzo Piano ha confermato la sua visione generatrice di questa architettura: "(...) penso che la torre del New York Times debba essere una pura forma astratta, che rappresenti concretamente le qualità intrinseche di Manhattan, ma credo anche che debba introdurre delle caratteristiche nuove: leggerezza, vibrazione, trasparenza e immaterialità. (...) Dovrebbe diventare una nuova torre di Babele, barocca, persino materialistica"5. Tali finalità non potranno che essere valutate a conclusione della realizzazione dell'edificio, anche perché il materiale prodotto finora è equivoco: mentre le foto dei modelli e alcuni grafici comunicano le intenzioni progettuali espresse dall'architetto, i plastici visti a Venezia sembravano massicci, convenzionali, se non monotoni. D'altra parte "spiegare" un'idea di edificio e cosa si vuole che esprima è altra cosa dall'edificio stesso, costruito. Sarà il linguaggio dell'architettura realizzata a confermarne o meno sia il raggiungimento dei presupposti progettuali espressi in questa fase, sia la loro pertinenza e la loro capacità di incisione sulle tematiche attuali dell'architettura.

Detto ciò, per avere una chiave di lettura critica dell'opera e della specifica soluzione di Renzo Piano, sembra interessante anche comprendere il contesto nel quale l'architetto si trova oggi ad operare, sia per quanto concerne la committenza, sia per quanto riguarda gli aspetti urbanistici ed architettonici, del luogo, da un lato, e, dall'altro, dell'approccio al progetto contemporaneo.

Di certo questo intervento rappresenta una grande operazione economica. È utile indagare un minimo anche il lato della committenza e le ragioni finanziarie che lo hanno permesso, per avere una idea più chiara dei valori che tale edificio è chiamato, in qualche modo, ad esprimere. Esso sarà localizzato nellArea di 'Sviluppo della 42° Street, un distretto di 13 acri collegato alla riqualificazione di Times Square avviata dalla metà degli anni '80 ad iniziativa dello Stato e del comune di New York. L'edificio occuperà uno degli ultimi siti del distretto ancora da recuperare. Per sviluppare la costruzione, la New York Times Company e la Forest City Ratner Companies (FCRC) hanno stabilito un accordo con ING Real Estate, che è diventata il partner della FCRC in questa operazione. Le tre compagnie saranno comproprietarie della nuova costruzione. Gli apprezzamenti per questa iniziativa, da parte degli stessi promotori finanziari, sono entusiastici: "questo edificio è disegnato fin dal terreno per rinforzare i valori della New York Times Company", dice Michael Golden, vicedirettore generale della Times Company; "la pianta libera e i sistemi di comunicazione, verticali ed orizzontali, favoriranno la collaborazione. Il nostro nuovo ambiente fisico migliorerà il nostro modo di lavorare, cosa che è il compito più renumerativo dell'architettura"6. Le dichiarazioni degli altri associati, da Bruce C. Ratner, presidente della FCRC, a Charles Grossman, direttore manageriale di Clarion Partners, fino a George E. Pataki, governatore dello stato di New York, sono sullo stesso tono.

Le valutazioni delle compagnie coinvolte sono indicatrici di quella "cultura di mercato" con la quale l'architetto genovese si è dovuto confrontare. È difficile comprendere alcune scelte progettuali importanti senza essere consapevoli di ciò, cosa che risulterà più evidente nel percorrere la storia dello sviluppo degli edifici a Manhattan nel prossimo articolo. Qui si proverà ad approfondire alcune considerazioni dal punto di vista più prettamente architettonico ed urbanistico, ponendo il grattacielo progettato da R. Piano in relazione sia con l'evoluzione della tipologia "a torre", sia con le qualità specifiche della città, palesate attraverso le vicende più significative della sua storia urbanistica, e in particolare attraverso quegli episodi che hanno provato a risolvere da un lato il rapporto tra l'altezza sempre maggiore dell'edificio e la sua composizione formale, dall'altro e parallelamente la complessa relazione contestuale tra l'isolato e l'edificio, tra il vuoto urbano della strada e il pieno architettonico che lo definisce.

1 Nicholas Adams, "Primedonne alla conquista del (New York) Times", in Casabella 689, anno LXV maggio 2001, Elemond spa, Milano, pag. 72

2 "Renzo Piano: Rascacielo Sede del NewYork Times" su "Revista Trama 76", Madrid, 4 febbraio 2001

3 Citazione dal comunicato stampa fornito ad Archimagazine da Catherine Mathis, VP, Corporate Communications del New York Times, 18-12-2001

4 Intervista a Renzo Piano dell'editore di Architectural Record, Robert Ivy, 2000

5 Citazione di Renzo Piano in "La biennale di Venezia. Next. 8. Mostra Internazionale di Architettura 2002", Marsilio Editori, Venezia 2002, pag 228

6 Citazione dalla descrizione fornita ad Archimagazine da Catherine Mathis, VP, Corporate Communications del New York Times, 18-12-2001