Indice degli articoli


L'architettura del gioco di luce
di Riccardo Dalisi

Alcune architetture di oggi sembrano provenire direttamente dal mondo mediatico: a mezza strada tra verità ed immagine, tra pensiero e concreto essere.

C'è da pensare ad una profonda, sottile influenza del computer, ben oltre la pratica del progetto, piuttosto verso la concezione dello spazio e dell'architettura. Alcuni progetti risentono di tutto ciò come un tempo le costruzioni risentivano del disegnare a mano, delle coloriture, delle tempere e della teoria delle ombre. Ed ancora, del lavoro a mano, della pietra, del ferro, dell'intonaco, delle arti applicate.

Vien voglia, infatti, di pensare lo spazio in termini di puri volumi, da aggregare e disaggregare, rarefatti, trasparenti, solidi, nitidi, riflettenti, dai particolari colori di luce.

Si va unificando il virtuale e il (ricordo del) reale, mentre l'immagine pura acquista una sua pregnanza, una sua particolare intensità, una indipendenza rispetto al costruito. Si può parlare di una prevalenza dell'immagine, tanto che, in alcuni casi, il progetto si elabora in funzione di essa, del suo variare visivo. Alla ritualità dei significati si sostituisce una ritualità mediatica del tutto particolare e che si propaga nei libri e nella carta stampata.

Mhuouse di Kazuyo Sejima - Tokyo

Mhouse di Kazuyo Sejima - Tokyo

Le profonde trasformazioni in tutti i campi si sommano tra loro, si riecheggiano; anche l'aspetto tecnologico e realizzativo arretra, nel senso che diviene puramente strumentale, essenziale, inappariscente, assorbito dalla forza sottile delle trasparenze, dal gioco dei riflessi.

È interessante vedere i percorsi di tali trasformazioni. Ciò appare con una certa evidenza ad esempio nella collana "Architettura" di Bruno Zevi: basta confrontare dei testi su Terragni, su Eisenmann, ad esempio, per rendersi conto di tutto ciò. Si tratta di autori che sembrano particolarmente "adatti" a tale discorso.

Esaminiamo ora l'architetto (della danza?) dell'incorporeità.

Sembra un percorso verso le regioni più pure e rarefatte del pensiero.

Appaiono, queste architetture, sempre più come emanate dalla immaginazione, sicché la percezione e l'atto del pensare si identificano. Il rigore geometrico e logico sono esaltati ed assorbiti nello stesso tempo.

Tutto ciò era già stato (ed, in questo, Mies è un precursore) anticipato nel vivo del movimento moderno, di cui tutto quello che è avvenuto ed è in corso di elaborazione è, per un certo verso, una continuazione. Tutt'altro il significato e tutt'altre le procedure, le vicende e le prospettive, ma i punti di contatto sono evidenti. Si accentua la sperimentazione e l'esplorazione di possibilità inedite sicché il panorama degli enti e delle diversità si allarga a ventaglio.

Affascinante è l'architettura di Kazuyo Sejima: agile, purissima, semplice.

Ho sotto gli occhi il progetto vincitore del concorso "Gli edifici mondo" a Salerno. Prismi di luce e di verde nel paesaggio antico urbano. Chi altro avrebbe pensato così nel vecchio continente?

Progetto "Gli edifici Mondo" - Salerno, 1998

Progetto "Gli edifici Mondo" - Salerno, 1998

E la casetta a Tokyo su pianta quadrata, minima, che si protende nello spazio dilatandosi, con estrema misura, come una pianta discreta e forte? Ed il centro mediatico, definito da una grande piastra ricurva percorribile sormontata da un parallelepipedo semitrasparente. Anche qui la luce disegna e danza leggera.

La grazia giapponese, quella antica cultura della misura e del garbo irrompe nel mondo dell'architettura internazionale, irrora il linguaggio della spazialità mediatica, della nuova realtà nel farsi presenza e, come sempre nell'architettura, nell'indicare la strada per il futuro.