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Il nuovo Guggenheim Museum di New York
di Riccardo Dalisi





Fino a poco tempo fa Frank Gehry non sarebbe stato preso sul serio con quei plastici che "sembrano" fatti con lamierine buttate lì, come grandi nuvole su un ben ordinato piano di percorsi pedonali o di anse d’acqua.

Così sarà il nuovo Guggenheim Museum di New York che non prende più di sorpresa dopo il grande shock di Bilbao e che sembra far traballare il sofisticato mondo dell’architettura da cima a fondo.




È il più libero gesto creatore di spazi che sia mai stato concepito per essere portato ad attuazione.

E ciò che più conta e sconcerta è la simultaneità dell’effetto pubblicitario, di respiro mondiale, mescolato alla densità della carica culturale che contiene.

È stato Bilbao a trasformare quello che sembravano puri gesti di provocazione destinati ad una nicchia ridotta di fruitori interessati o di sperimentazione fine a se stessa, in ambitissime possibilità, con richieste da tutto il mondo. Un nuovo modo di fare architettura.

Il sogno di F. Gehry si è totalmente avverato ed ora è sogno di tutti.




La sua visione nella realtà vivente e funzionante di un’architettura pienamente realizzata si può fruire nella stessa America (luogo dei miti moderni). A Seattle migliaia di spettatori hanno potuto godere con tutto se stessi, con i loro sensi la fantastica macchina interattiva creata con l’Experience Music Project.

Forme dell’immaginazione, cartocci immensi, in acciaio argentato, alluminio, vetri colorati.

Un nuovo modo di costruire oltre che di concepire l’architettura ed il progetto stesso.

Grande significato ha il fatto che l’opera coincide sperimentalmente con il momento celebrativo di tutte le forme di musica popolare americana, dal jazz, al gospel, dal blues alla country music, dal soul al grunge, all’hip - hops ed al rock’n roll.

Abbiamo notizia di suoi tanti altri progetti in via di realizzazione.

Un gran senso di energia provoca quella capacità eminente dell’architettura di coagulare in se stessa tutto il meglio della vita pulsante della civiltà che essa esprime.

E certo tutto ciò spinge indietro e fa apparire ampiamente obsoleti tanti modi di concepire e di occuparsi del progetto che ancora vige nelle nostre Università.