Architettura

La Sinagoga a Tel Aviv di Mario Botta
di Roberto De Santis

Scorcio della Sinagoga

È la prima sinagoga mai realizzata nel campus universitario di Tel Aviv, questa di Mario Botta costruita nel 1998. L’Università di Tel Aviv, coi suoi 27.000 studenti, è la più grande del Paese e gode di un prestigio internazionale dovuto ai suoi risultati scientifici. Il campus rappresenta un contesto di grande interesse con edifici di notevole pregio architettonico tra i quali quello progettato da Louis Kahn.

I committenti Paulette e Norbert Cymbalista hanno contribuito tantissimo all’esecuzione ottimale, accurata fino ai minimi particolari, del progetto di Botta.

Spaccato assonometrico

Il programma della committenza era quello di destinare una parte dell’edificio all’attività degli ebrei ortodossi di Israele, l’altra parte messa a disposizione degli ebrei più liberali: uno spazio ortodosso per la preghiera accanto a un luogo aperto al confronto. L’edificio è, infatti, destinato a dare spazio alla discussione e alla risoluzione dei conflitti esistenti tra gli ortodossi seguaci della pura dottrina e chi cerca di aprirsi al mondo contemporaneo.

Botta ha affrontato questo incarico problematico progettando due corpi di fabbrica identici, due quadrati dal tracciato rigoroso che si trasformano in tronchi di cono. I due edifici a pianta quadrata sono collegati da un ingresso comune, un passaggio aperto che offre una possibilità di dialogo, e sono disposti in maniera rigidamente simmetrica all’interno di un rettangolo, mentre le superfici rimanenti sono riservate ad altre attività fondamentali come il piccolo museo e il centro studi.

Veduta interna

I due quadrati, tuttavia, si presentano leggermente differenti in pianta: mentre lo spazio della sinagoga ortodossa viene reso sacrale dalle file di sedute fisse e da una cornice lucente di alabastro pakistano che termina in un’abside semicircolare, il luogo del confronto è caratterizzato invece da arredi mobili e termina in un podio provvisto di un guscio ricurvo e collegato esternamente al corpo di fabbrica per mezzo di una vetrata. L’abside e il podio rappresentano le due terminazioni dell’asse del complesso.

Veduta centrale della sala riservata alla discussione

Il rivestimento esterno dell’edificio è in dolomia rossa mentre tutte le pareti interne sono in pietra dorata di Toscana: si tratta di due materiali che attraverso il loro dialogo architettonico e geometrico sottolineano il messaggio arcaico dell’edificio.

"... Nel progetto esiste una parte razionale e un’altra irrazionale. Si ha continuamente bisogno di spinte irrazionali proprio per ricercare la ragione e il senso di un progetto.

Il progetto è anche una scuola rigorosa che induce il progettista a continue rinunce per ottenere risultati essenziali. Quindi il desiderio di misurarsi con varianti attorno ad un tema è un processo comprensibile; è un lavoro di valutazione e confronto soprattutto per le rinunce imposte dalle scelte che risuonano come amori mancati, valenze rimaste sospese.

Trovo interessante anche il fatto di occuparmi dello spazio della chiesa in una società secolarizzata; è l’alternativa al tema e alle tipologie legate al consumo. Mi piace sentirmi parte di una storia in cui esistono costanti: il tema di uno spazio di silenzio e meditazione, un luogo dove è possibile rintracciare emozioni che la cultura moderna fatica ad offrire.

La cultura contemporanea offre un’architettura di consumo e di frastuono, ma credo sia importante pensare che esista anche un’architettura del silenzio, dove è possibile evocare altre condizioni, altri sentimenti, altri amori... L’architettura contemporanea è fortemente legata ai fatti tecnici, agli elementi funzionali: questa è una grande limitazione. L’architettura come linguaggio, come presenza fisica, riesce a comunicare oltre il contingente; l’architettura è una "permanenza" che dialoga con il trascorrere delle stagioni, con il ciclo solare, con la nozione del tempo: l’architettura richiede tempi lunghi".