Architettura

La lettera dei 35 e gli interventi dei nostri Lettori
35 Professori in difesa dell'Architettura in Italia. E tu che ne pensi?
ARCHITETTI in RIVOLTA: liberiamo il paese dai colleghi stranieri [Carmela Riccardi, Nicola Desiderio]
Più etica e meno … ipocrisia [Marcello Silvestro]
Le risposte alla lettera dei 35
Le risposte di Ugo Rosa, Marco Gennari, Michele Sabatino, Stefania Poles, Angelo Luigi Tartaglia, Giorgio Nocerino
Risposta ai 35 di B+ C Architects: Opera senza passaporto
Ultime risposte all'appello dei 35

Da quando, a inizio settembre, abbiamo rivolto l'invito ai Lettori di archimagazine di dire la propria idea - l'idea è stata ripresa da più parti - sull'ormai famosa lettera dei 35, continuano a pervenirci commenti, quasi tutti contro gli insigni professori

Oggi pubblichiamo le risposte di Ugo Rosa, Marco Gennari, Michele Sabatino, Stefania Poles, Angelo Luigi Tartaglia, Giorgio Nocerino

Il professore protesta
di Ugo Rosa, Architetto
Pubblicazione originale su Antithesi Giornale di critica dell'architettura

Il re era tosato;
ora gli andava larga la corona
e gli piegava un po' le orecchie
cui a tratti giungeva

lo strepito odioso
dei ceffi affamati.
Sedeva, per darsi un po' di caldo,
sulla sua mano destra,

arcigno, col suo culo pesante.
E, lo sentiva, non era più lui:
del padrone ben poco rimaneva,
e l'amplesso era fiacco.
Rainer Maria Rilke

Il sonno della ragione genera mostri. Il suo pisolino professori d'architettura.
Il sottoscritto

Una volta, durante uno spettacolo di varietà di successo nel quale si confrontavano vaste categorie umane tra loro frontalmente contrapposte (per esempio: colti vs ignoranti grassi vs magri e, nel caso di cui vorrei dire, cornuti vs cornificatori) Paolo Bonolis, il tenutario della trasmissione, poneva domande di cultura generale ad un individuo che se ne stava ammollo dentro un cilindro di plexiglas, con la maschera da sommozzatore, le mutande a righe e una canottiera con sopra scritto “cornuto”.
“Lei - lo esortava amabilmente - dovrà, come rappresentante eletto tra i cornuti, rispondere a questa domanda: qual era il vero nome del pittore conosciuto come Caravaggio?”
E quello, cornuto di cultura, rispose, pensate, quasi esattamente (Merici anziché Merisi, errore veniale, in verità, anche per un cornuto in smoking, figuriamoci per un cornuto in mutande). Di quest'inattesa epifania di cultura televisiva hanno potuto beneficiare milioni di italiani (alcuni dei quali perfino più ignoranti del sottoscritto). Essa testimonia dell'efficacia della televisione come strumento di divulgazione culturale e fa riflettere sulla necessità di una modernizzazione nei metodi dell'insegnamento. Se a scuola la professoressa di Storia dell'arte avesse fatto lezione in guepiere e frustino portandosi al guinzaglio il marito in costumino borchiato e cappuccio di cuoio chi di noi non saprebbe, oggi, disquisire con profondità e proprietà di termini su Piero Della Francesca e Paolo Uccello?
Se, d'altra parte, il professore di filosofia si fosse degnato di venirci a spiegare Leibniz in vivace contraddittorio polemico (lancio di stoviglie, sputi e improperi) con sua moglie chi di noi, oggi, non avrebbe scritto un saggio risolutivo sulla monadologia?
La verità è che siamo vittime di una concezione della cultura seriosa e antiquata.
Speriamo che la signora Moratti (che è telespettatrice attenta o non si acconcerebbe come si acconcia) sappia tradurre tutto questo in concreto ammodernamento: una collezione di vibratori in dotazione alla bidella? Le tette di Mascia del grande fratello al posto della tavola periodica? Il merolone al posto del mappamondo sulla cattedra del professore di geografia? Non saprei. Proviamo. Se son rose fioriranno.
Intanto, però, i professori già danno positivi segnali di vitalità. I professori d'architettura, che tra tutti (lasciatemelo dire con legittimo orgoglio) sono i più eleganti e alla moda, già hanno preso il loro posto in prima fila.
Vogliono divertire e divertirsi, com'è giusto, senza per questo rinunciare ad insegnare.
Così quest'anno accademico hanno deciso di cominciarlo all'insegna del buonumore: con una bella letterina anzitempo a Babbo Natale.
Si tratta di un notevole frutto del temperamento italico ed io vorrei che la si diffondesse in tutte le scuole della nostra bellissima repubblica (o quello che è): lo studente potrebbe anzi impararla a memoria e ripeterla all'esaminatore presentandosi con il libretto in una mano, la trombetta elastica nell'altra e un naso finto.
Ad ogni virgola si fermerebbe a soffiare nella trombetta. Sarebbe un bel modo di prepararsi alla professione d'architetto per come si va configurando. Un modo divertente e perfettamente adeguato.
Visto che loro, i professori, si sono divertiti a scriverla io pure mi sono divertito a leggerla: che volete, si fa quel che si può. Loro pubblicano, seminarizzano, insegnano, conferiscono, si riuniscono, giudicano, concorrono. Io, quando posso, leggo.
“L'architettura italiana attraversa una situazione drammatica”. Comincia così la missiva. Senza mezzi termini. Non si può dire che non si afferri il toro per le corna.
Do un'occhiata al calendario: settembre, l'anno è il 2005.
Controllo di nuovo: settembre, 2005.
Mi faccio i conti con le dita. Cazzo, ho cinquant'anni. Uno se lo scorda, sono cose che succedono. Ma il calendario è lì apposta. Tu guardi e ti ricordi. Che faccio io nella vita? L'architetto. Ho fatto altri mestieri? No. Sempre l'architetto ho fatto (finta di fare). Ci fu, è vero, un periodo che suonavo la chitarra, ma non credo che conti, in questa sede. A questi cinquant'anni ne togliamo una metà: per svezzamento, infanzia, adolescenza, università e cazzeggiamento. Ne restano pur sempre venticinque. Venticinque anni, dunque, che bazzico l'ambiente. Ma questa, che io ricordi, è la prima volta che 35 professori assurgono in coro a difesa dell'architettura in Italia. Non dico, per carità, che ciascuno di loro non l'ha, nell'intimità del suo cuore, difesa sempre e che non la difenderà in eterno. Non mi permetterei mai. Ma questa è la prima volta che le loro voci risuonano come una sola con questo tono dolente e preoccupato. Sta qui la magistrale comicità del gesto. Questi professori sapevano benissimo che, con tutta la buona volontà, nessuno avrebbe potuto prenderli sul serio, ma (ecco da cosa si riconosce il magister) hanno ugualmente sottoscritto.
Ecco, io mi ricordo (…vedete? già mi viene da ridere…) insomma…mi ricordo che me ne andavo all'università fischiettando “Fire and Rain” di James Taylor e il professore cominciava la sua lezione comunicandoci che la situazione dell'architettura in Italia era drammatica e che di fare gli architetti ce lo potevamo scordare. Ricordo una mitica lezione di un noto professore e gestore di rivista (allora come oggi…sempre la stessa rivista per trent'anni…): “Senta, lei è ricco di famiglia?” “No sono povero in canna” “E allora perché cazzo si è messo in testa di fare l'architetto?”.
Così controllo di nuovo il calendario. “2005, settembre”. Mi rifaccio i conti ricorrendo al pallottoliere dismesso di mio figlio. E' così per davvero…io ci ho cinquant'anni, siamo nel 2005, e ai tempi di “Fire and Rain” ne avevo venti.
Erano i tempi in cui Paolo Portoghesi gestiva Controspazio.
Dopo qualche annetto ero un “giovane architetto italiano” (ma già avevo questa faccia da skinhead attempato alla quale mi attengo tuttora per timore che me ne tocchi una ancora peggiore).
Nell'isola in cui vivo ( e non solo…ma io ero qui e di questo parlo…) a quel tempo, sembrava ci fossero fermenti interessanti e talenti mica male: in perfetta concomitanza (anzi, forse perfino in anticipo) rispetto a quei fermenti ed a quei talenti che, portati in palma di mano dalle riviste giuste, avrebbero poi costituito quella che sarebbe diventata celebre come “Scuola portoghese”. Le riviste italiane e molti dei professori che oggi piangono amaramente sul dramma dell'architettura italiana se ne sono allegramente infischiati. Come biasimarli? Allora caracollavano in serpa alle loro splendide riviste, organizzavano le loro bellissime bi e triennali e decidevano loro come gestire le cattedre, le pubblicazioni, i convegni, i seminari. Hanno dedicato a quei fermenti qualche santina (tre o quattro francobolli di due centimetri per tre su Casabella, qualcosina da qualche altra parte…) e un paio di amabili paternali cui seguiva una pacca sulle spalle e l'esortazione a studiare ancora perché, occorre capirlo bene, “Ars longa…”. Solo un banalissimo, episodio, che però fa capire com'è stata gestita la “cultura architettonica” in Italia. Da allora sono passati altri vent'anni. Certo erano bei tempi, per qualcuno. Gregotti, ogni mese dalla sua Casabella ci regalava un editoriale che nessuno leggeva (e chi sarebbe stato talmente eroico da farlo?) ma che tutti citavano e, noblesse oblige, polemizzava con Portoghesi che, per parte sua, aveva tirato fuori dal cilindro la storia come amica e scriveva libri con il cuore in mano: tra una polemica e l'altra ambedue costruivano tutto quello che c'era da costruire e organizzavano tutto quello che c'era da organizzare. Erano bei tempi…ma, soprattutto, niente letterine: non ce n'era bisogno, ci si divertiva diversamente. Babbo Natale il carbone non lo portava mica a loro. Per quelli come me, invece, la situazione era esattamente come quella attuale, ed è rimasta tale e quale nel corso degli anni novanta e dei primi anni del millennio. La nostalgia perciò, in questo campo, è roba per ricchi. Io non me la posso permettere. Siamo passati, giusto per restare al fischio, da James Taylor , a Sting e giù fino a Michael Buble; mentre altrove si accudivano i nuovi talenti e li si metteva alla prova qui non s'è mossa foglia: ma che minchia dovremmo rimpiangere?
Concorsi? Neanche a parlarne (e anche se si fanno si sa chi deve vincere, tanto che preferisco, e di gran lunga, le giurie costituite dal sindaco e dal capo ufficio tecnico a quelle in cui c'è anche uno solo di questi professionisti della firma, perché, allora, state certi che non c'è speranza).
Incarichi? Non scherziamo con le cose serie.
Ora, settembre 2005, questa fioritura di firme.
Molti tra i firmatari sono o sono stati professori e presidi di importanti facoltà universitarie italiane. Dov'erano? Che facevano? Perché non hanno cominciato per tempo a scrivere le letterine?
No, niente letterine fino ad oggi. Per trent'anni, evidentemente, tutto è andato benone.
Per i venticinque anni che mi competono sono stati solo cazzi miei e di quelli come me. Mai che fossero anche cazzi loro. E oggi, porco cane, ecco invece il professor Gregotti che s'inalbera, ecco il professor Portoghesi che s'indigna, ecco perfino un giovanottone, anche lui professore, figlio di papà ma ancora quarantenne (con la rivista già incorporata da quando ne aveva trenta) che si toglie la scarpa e la sbatte sul tavolino. Pure a lui manca il torrone nella calza. Da non crederci. Se mi avessero detto che avrei avuto l'onore di averli al fianco nelle barricate non ci avrei mica creduto. Perciò, visto che loro non lo fanno, mi dimetto io e mi levo l'elmetto. Firmate pure, divertitevi, io mando i miei saluti a tutti voi. In particolare a qualche vecchio conoscente di cui leggo la firma in calce a quella lettera. Non se la prenda se gli dico francamente che, per me, avrebbe fatto bene a non firmarla. Leggendola non si può non avere la netta impressione che si stia semplicemente tirando acqua al proprio mulino e che lo si faccia, per di più, senza neppure quel poco di stile che si richiedeva agli accademici di vecchio stampo.
E anche se, come credo, non lo fa in mala fede la sensazione sgradevole permane: vuol dire che senza volerlo, con la sua carità pelosa, sta prendendo per il culo se stesso, “la sua generazione”, me, “la mia generazione” e, in ultimo quelle “nuove generazioni” tirate in ballo perchè buone a tutti gli usi e, soprattutto, ottime come carne da macello quando c'è da fare i furbi.
Ragion per cui ringrazio e, cordialmente, rispedisco al mittente: che gli incarichi se li fottano Gregotti, Portoghesi e Casamonti oppure Fuksas, Libeskind e la Hadid, per me, ve lo assicuro, non cambia assolutamente nulla. Anzi, francamente, sospetto non cambi nulla nemmeno per quella cosa che questi professori si ostinano a chiamare “la tradizione dell'architettura italiana” identificandola, del tutto inopinatamente, con loro stessi.


La migliore tradizione: far bene le cose!
di Marco Gennari
Quando Giuseppe Terragni, Piero Bottoni ed altri si sono imbarcati sul Patris II a Marsiglia, nell'estate del 1933, avranno mostrato un documento alla dogana, ma non credo proprio che importasse la loro nazionalità o quanta strada avessero percorso per partecipare al CIAM (Congresso Internazionale d'Architettura Moderna).
Io credo che la migliore tradizione, che è universale, sia quella di cercare di fare bene le cose. Quando questo è l'intento, per il bene proprio e degli altri, non importa da dove si proviene. Credo che questo sia vero in qualsiasi campo: nel cinema, nella musica, nell'arte, nella scienza…
Dico questo, riguardo alle costruzioni, senza entrare nel merito di ciascun progetto o realizzazione, alcuni aspetti dei quali (come l'innaturale grattacielo ricurvo in previsione per Milano) sono per me molto discutibili.


Perché solo ora l'appello?
di Michele Sabatino, Architetto
L'architettura italiana attraversa una fase di crisi da molto tempo, molto prima l'appello dei 35 insigni professori universitari; viene da chiedersi il perché solo ora si siano decisi a fare qualcosa e quale sia la molla che è scattata in loro. Il mio realismo e la scarsa fiducia che ripongo nella maggior parte dei firmatari l'appello mi fa supporre che è la presente mancanza di incarichi di prestigio che li ha costretti a chiedere interventi da parte del Presidente della Repubblica e delle altre alte cariche dello Stato. Guarda caso in altre nazioni non ci sono appelli del genere, visto che non ci sono le situazioni che si verificano nell'architettura italiana della cui situazione drammatica costoro non sono esenti da colpe. Non è una colpa se la maggior parte delle grandi opere in Italia è dovuta all'intervento degli architetti stranieri, non è forse vero che questi ultimi non hanno dovuto subire le angherie prima da parte del sistema universitario italiano, basato sostanzialmente sul baronato di cui, ahimè, la maggior parte dei nostri insigni firmatari fan parte e dopo da parte dell'apparato burocratico italiano? Notando tra l'altro la sufficienza con la quale esprimono il " carattere positivo delle forze culturali esterne..." che avrebbe privato i cosiddetti geni nostrani di quelle occasioni di lavoro, non si capisce perché non si citino i maggiori architetti italiani, quelli veramente in gamba che non si sono voluti assoggettare a questo sistema, che lavorano spesso e volentieri all'estero, dove sono riconosciuti del loro effettivo valore e che meriterebbero davvero maggiore giustizia in Italia.
I 35 firmatari, dall'alto delle loro cattedre universitarie propongono un libero accesso ai concorsi, cosa talmente ovvia che fa sospettare, infatti in tale contesto chi più di loro ha i mezzi per poterli vincere?
Infine fa piacere sapere che un grande artista come Sottsass ha preso le distanze, quando si firmano certe petizioni bisognerebbe leggere bene tra le righe.


Concordo con la protesta
di Stefania Poles, Architetto
Concordo perfettamente con la protesta emanata dal gruppo di illustri architetti italiani e li ringrazio. Mi sono laureata a Venezia e ho avuto modo di conoscere alcuni di questi docenti in primis Luciano Semerani. Da loro ho ricevuto gli insegnamenti fondamentali per conoscere l'architettura. La protesta dei 35 docenti è più che giustificata: è proprio all'interno dell'università che si sviluppa la ricerca senza prescindere dalla tradizione.
In Italia abbiamo un modus operandi che dobbiamo difendere gelosamente a differenza di altre scuole nate recentemente solo con l'avvento del computer che provocano nel nostro paese una cesura con il passato architettonico. La colpevolezza, semmai, risiede nelle pastoie burocratiche e nella scarsa cultura della classe dirigente che ha un occhio di riguardo per il business più che per la bontà dell'opera in questione.


Concordo con Sottsass
di Angelo Luigi Tartaglia, Architetto
Concordo con quanto letto nella lettera ed alle precisazioni dell'Architetto Sottsass.
La Burocrazia del Nostro Paese, tarpa le ali alle migliori idee, soprattutto se esse derivino da entità autonome e non politicamente sponsorizzate. Ciò tuttavia non si verifica ,quando il progetto provenga da altisonanti Architetti internazionali. Oltremodo giusta è la precisazione sempre dell'Architetto Sottsass riguardo ai concorsi che dovrebbero essere liberi per dare spazio ai giovani professionisti ,le cui energie altrimenti, resterebbero latenti.


Risentimento tardivo
di Giorgio Nocerino, Architetto
E' vero, in Italia molti progetti di architettura sono stati affidati a firme di famosi architetti stranieri, con il conseguente (e giustificato) risentimento da parte degli studi italiani. Tuttavia, penso che ci sia una responsabilità da parte degli stessi architetti italiani, che oggi si lamentano e che insegnano nelle varie Università. Infatti, è compito proprio delle Università, quello di formare l' “eccellenza” per sfidare la concorrenza delle varie “star” dell'Architettura, ormai mondiale. Per lo più, invece, i corsi universitari si sono trasformati in diffusori delle opere di quei maestri dell'Architettura, che poi dopo si vogliono contestare. Se in Italia sono in molti a registrare un reale impoverimento della classe professionale, lo si deve anche a coloro che, impigriti nei loro aurei recinti, non hanno saputo programmare il futuro dell'Architettura e dell'Arte italiana nell'era della globalità.

Articolo inserito il 6 ottobre 2005